OLI 424: PALESTINA – Chiudo gli occhi e sono di nuovo dietro le sbarre
“Mi chiamo Samar, sono stata arrestata quando avevo 22 anni, in seguito ad una protesta studentesca e condannata a due anni e mezzo di carcere. Ero a capo del Consiglio studentesco dell’Università islamica. Avevamo organizzato una protesta contro l’occupazione… Due giorni dopo anche mio marito è stato arrestato e condannato a 9 mesi di prigione, senza accusa alcuna. Eravamo sposati da tre mesi. Ero nelle prime settimane di gravidanza. Ho subito ogni tipo di tortura. Mi hanno tenuto per 66 giorni in una cella sotterranea, gelida, costretta a stare in equilibrio su un seggiolino. Sono stata umiliata, maltrattata… quando è iniziato il travaglio mi hanno legato mani e piedi e mi hanno fatto il taglio cesario non perchè fosse necessario… Ora ho 28 anni e vivo a Gaza dove sono stata deportata, mentre mio marito e la mia famiglia vivono in Cisgiordania. Mi è negato l’accesso e quindi non posso vedere nè mio marito nè mio figlio“
Il 17 aprile ricorre la Giornata dei Prigionieri Palestinesi che sono detenuti nelle carceri israeliane per la loro opposizione all’occupazione illegale. Ad oggi sono più di 6200 detenuti: 480 condannati all’ergastolo, 454 in detenzione amministrativa, 22 donne, 163 bambini. Dal 1967 sono state arrestate 850mila persone, 15mila sono donne e decine di migliaia di bambini. Israele viola costantemente i diritti dei detenuti per le condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere e i trattamenti crudeli e degradanti. Spesso i detenuti sono in detenzione di isolamento. Restano da soli per 24 ore al giorno in una cella vuota con solo materasso e coperta. Il detenuto non può tenere nulla con sè, nemmeno libri o radio. La cella non ha WC.
Le condizione di detenzione nelle carceri israeliane hanno un forte impatto sulla salute dei prigionieri: la mancanza di luce naturale, l’umidità delle celle, lo scarso e scadente cibo, le restrizioni di uso degli spazi, il servizio sanitario carente. Inoltre le visite da parte dei familiari sono limitate. La sospensione delle visite è molte volte usata come forma di punizione collettiva. Sono 207 i detenuti morti nelle carceri israeliane a seguito di torture e uccisioni ma nessuno è stato incriminato o giudicato colpevole dato che la legislazione israeliana prevede l’immunità per i funzionari di Israele.
“Sono Habed… il giorno del mio sedicesimo compleanno, i soldati israeliani sono venuti a prendermi. Era l’1,30 di notte. Hanno buttato giù la porta di casa… Mi hanno bendato e ammanettato. Mi hanno picchiato di fronte ai miei che mi guardavano impotenti. Una jeep militare mi ha portato al centro di detenzione di Beit Jala. Durante il tragitto è iniziato il pestaggio. Durante l’interrogatorio ho chiesto acqua, mi hanno portato vodka. Ridevano mi umiliavano. 24 ore di interrogatorio, gli ufficiali si davano il cambio e usavano metodi vari per farmi confessare quello che non avevo fatto: un’accecante luce rossa negli occhi, minacce contro la mia famiglia, braccia legate, l’interrogatorio va avanti per 45 giorni: Ero sfinito, ero certo che sarei morto. Ho perso 16 chili e ancora oggi ne soffro le conseguenze. Habed resterà in carcere per due anni e mezzo passando da una prigione all’altra. Ad Hasharon vive l’esperienza peggiore ero lì da due settimane quando i soldati hanno lanciato dentro le celle gas lacrimogeni e ci hanno chiuso dentro. Non riuscivamo a respirare e hanno aperto le celle. Più di cento soldati ci aspettavano fuori… mentre camminavamo, ci picchiavano sulla testa e sulla schiena con manganelli. Mi hanno rotto una gamba. Sono caduto a terra e si sono lanciati su di me: mi hanno colpito non so quante volte. Ho perso conoscenza per circa sette ore per le botte alla testa. Mi sono risvegliato all’ospedale militare, il medico mi ha detto che la gamba stava benissimo, avrei solo dovute bere un po’ d’acqua per sentirmi meglio. Una volta tornato a casa non sapevo più chi ero… Vorrei solo tornare alla vita di prima, ma non riesco a cancellare la prigione. Chiudo gli occhi e sono di nuovo dietro le sbarre“.
(Maria Di Pietro – foto da internet – fonte delle interviste Addammer.org)