OLI 426: RIFORME – La buona scuola, i cattivi maestri
Non è facile entrare nel merito del DDL “La Buona Scuola”, senza correre il rischio di semplificare o banalizzare l’argomento alla maniera delle tribune televisive, spesso unico luogo di informazione. E’ stato invece semplice per il governo cavalcare alcuni luoghi comuni che indicano la poca simpatia sociale di cui godrebbero gli insegnanti. Strumentalmente, la rottamazione è iniziata proprio da ciò che nella scuola pubblica necessitava almeno di una revisione e cioè le graduatorie (oggetive, ma al contempo limitanti, in quanto consentono la carriera interna solo attraverso il parametro anagrafico) e la valutazione dei docenti, cioè di coloro che da sempre hanno registro e penna rossa in mano (chi non ha avuto un insegnante demotivato e comunque inamovibile per ragioni varie?). In seconda battuta il governo ha giocato la carta delle migliaia di assunzioni di precari, attingendo dalle graduatorie ad esaurimento, escludendo altri abilitati e rilanciando poi, in modo ambiguo, su un futuro concorsone.
Letta e riletta la proposta di Renzi&pGiannini, per coloro che la scuola la conoscono da dentro, è evidente il fatto che rappresenti l’ennesima tappa di peggioramento della scuola pubblica ad opera della politica italiana. Andrebbe bocciata in toto e non emendata o corretta. Un giudizio così netto non è volto aprioristicamente a difesa di una categoria – quella dei docenti – in buona parte disomogenea e spesso ripiegata su se stessa, ma a difesa della SCUOLA PUBBLICA e del suo mandato costituzionale, leso dal DDL in più articoli (come ad esempio l’art.33 e il divieto di oneri per lo Stato a vantaggio delle scuole private).
Il governo, fino ad oggi, ha avuto gioco facile nell’imporsi poichè insegnanti e sindacati di categoria spesso si sono divisi su molti punti: la bontà delle prove Invalsi, le ingerenze della Chiesa Cattolica in merito ai nuovi progetti sulla parità di genere, le forme di reclutamento ritenute più o meno meritocratiche. Una maggiore coesione si è registrata invece nel combattere le nuove forme di valutazione dei docenti stessi, il futuro blocco della mobilità, l’attribuzione del punteggio, lo scandaloso mancato adeguamento contrattuale dal 2009, la concessione di bonus economici a discrezione dei Dirigenti. L’adesione significativa allo sciopero del 5 maggio, indetto da tutte le sigle, non sembra aver condizionato gli autori della riforma. Servirebbe un massiccio blocco delle attività didattiche, per settimane, ad oltranza, come non è nella tradizione del nostro paese. E quindi assistiamo al compimento finale della cosiddetta “autonomia”, che ufficializza definitivamente l’identità aziendalistica della scuola, in cui la concorrenza tra istituti prende il posto della collaborazione e pianificazione territoriale, e il Dirigente Scolastico perde completamente la sua natura di pedagogista e primus inter pares, per diventare capo indiscusso, libero di decidere quasi ogni cosa senza l’approvazione del Collegio Docenti. E’ chiaro il tratto autoritario e liberista della riforma. La creazione di albi territoriali, che si riformulano ogni tre anni, ricalca il modello degli ordini professionali ma in un mercato del lavoro viziato dall’assenza di un reale potere contrattuale da parte dei docenti e quella di strumenti normativi a cui appellarsi a propria tutela. E’ facile prevedere in tutto ciò la pretesa da parte dei Dirigenti di prestazioni di molte più ore, a retribuzione invariata per coprire più discipline. In linea col malcostume italiano non è difficile ipotizzare un modus clientelare nel reclutamento dei docenti.
(Silvia Suriano, docente – immagine di un archivio familiare)