OLI 428: CULTURA – L’aratro, la spada e il “restauro” (che fa propaganda o è solo eccesso di zelo?)
26 marzo 2016, nel comune di Roccavignale (SV), lungo la strada tra Millesimo e Montezemolo. |
“È l’aratro che traccia il solco profondo, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori”. Così disse Benito Mussolini, nel discorso pronunciato per l’inaugurazione della Provincia di Littoria (oggi Latina), il 18 dicembre 1932.
L’efficiente macchina della propaganda fascista si impadronì subito di tale frase ad effetto tipica della retorica mussoliniana, che, abbreviata, fu riportata su un’infinità di prospetti di edifici pubblici e privati in tutta Italia – soprattutto in ambito rurale – insieme a molti altri aforismi del duce disseminati ovunque, in un’opera di capillare indottrinamento delle masse meno acculturate e più sensibili alle suggestioni delle lapidarie semplificazioni, avendo scarsa o nulla consuetudine con testi più complessi e articolati.
Ad esempio, una delle tante campeggiava nel 1937 nella bonifica di Palidoro, nell’Agro Romano:
Numerose altre testimonianze di questa cosiddetta “scrittura esposta d’apparato”, risalenti per lo più agli anni trenta del secolo scorso – ormai documenti storici da tutelare, a prescindere dai messaggi che veicolano – si conservano sbiadite, ma ancora più o meno ben interpretabili, sull’intero territorio nazionale. Una riflessione di Antonello Ricci, non recentissima ma sempre condivisibile, sull’esigenza di conoscere e salvaguardare tale patrimonio – riferita al caso specifico del Viterbese, ma valida dappertutto – fu pubblicata nel 1984 sulla rivista “Biblioteca e società” e ad essa si rimanda.
I resti consunti di una di quelle scritte erano perfettamente leggibili fino a non molto tempo fa anche su un rettangolo di intonaco applicato un’ottantina d’anni fa su un edificio in pietra nella campagna di Roccavignale, in provincia di Savona, lungo la strada che unisce la Liguria al Piemonte, tra Millesimo e Montezemolo.
Da qualche mese, chi si trova a salire lungo tale carrozzabile non può non notare come si presenta adesso l’iscrizione. A seconda del proprio orientamento politico, può gioirne oppure rimanerne allibito. Di certo, non indifferente.
Appare nuovissima, perfettamente ridisegnata in nero col tipico carattere geometrizzante di gusto déco – largamente usato nell’epigrafia monumentale fascista e reso allora con l’ausilio di mascherine – spiccante sul fondo ridipinto di bianco.
Un’operazione a dir poco sconcertante, che suscita alcune domande che sarebbe bene avessero risposta.
Innanzitutto, si tratta di un episodio isolato o vi sono altri casi analoghi?
Poi, di chi è stata l’iniziativa? Di un singolo privato, di un’associazione o di un ente pubblico? Quale? Con quali risorse economiche? Chi ne è stato l’esecutore materiale?
E soprattutto, per quale motivo?
Se si è inteso semplicemente salvaguardare una memoria storica, lo si è fatto nel peggior modo possibile: da oltre mezzo secolo, restaurare non significa più rifare di sana pianta cancellando ciò che appare deteriorato, ma risanare e conservare quanto è sopravvissuto nella sua autenticità, senza annullare i segni del trascorrere del tempo e limitandosi a quelle integrazioni indispensabili alla leggibilità dell’opera, che devono essere sempre e comunque distinguibili dal testo originale.
Se invece con questo “restauro” si è voluto fornire un sia pur modesto contributo alla riabilitazione di un periodo nefasto, ma che molti continuano a rimpiangere, e soprattutto della ideologia e della prassi di cui esso fu espressione, sempre pronte a riaffiorare e riprendere vitalità, allora bisogna davvero stare in guardia.
Non è affatto rassicurante leggere molti dei commenti su YouTube ai filmati dell’Istituto Luce che abbiamo proposto, tuttora inneggianti all’uomo che condusse l’Italia alla rovina, per giunta senza neppure intravvedere tutto il grottesco di cui era impregnato il suo stile comunicativo, al contrario splendidamente colto e sbeffeggiato negli Stati Uniti già alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale da chi di comicità se ne intendeva.
(Ferdinando Bonora – fotografia dell’autore)