Privacy 2. Sorvegliare e punire al tempo del hi-tech

Liceo Scientifico Lanfranconi, inizio dell’anno scolastico. Nel corso della assemblea per la presentazione del Liceo ai genitori viene illustrato un servizio innovativo: ognuno di loro riceverà una “password” personale con la quale accedere ad una area riservata del sito del Liceo in cui saranno puntualmente registrate le assenze dei figli e i voti che hanno preso.


Questa novità me la comunica una madre perplessa, mentre davanti al computer sta tentando di attivare il servizio innovativo. E’ la prima volta che ci prova e lo sta facendo perché sua figlia le ha appena telefonato: tutti i suoi compagni sanno già il voto dell’ultimo compito in classe, lei ancora no, e non vuole stare in ansia fino alla prossima lezione col Prof.
La mamma perplessa mi dice che lei i voti li chiede alla figlia, che se ci sono dei problemi va a parlare ai professori, e che tutta questa cosa di spiare dietro alla porta (informatica) non le sembra una grande idea. Concordo appassionatamente con lei. Poi cerco anche di pensarci su.
Perché è vero che i genitori hanno sempre “sorvegliato a distanza” i propri figli “Dove sei stato ieri?: Mi hai detto che andavi a casa di… ma ho telefonato e non c’eri…” E allora che male c’è nell’usare, a fin di bene, un mezzo nuovo che prima non esisteva?
La differenza, io credo, sta proprio nella particolare qualità del mezzo: un osservatorio impersonale, sempre attivabile da parte dei genitori senza sforzo e senza impegno, nemmeno quello di svelare alla mamma del compagno di classe o al professore che abbiamo un problema, una ansietà, un dubbio. Un osservatorio per niente affatto segreto (i ragazzi sanno benissimo che c’è) che formalizza l’assunto che la condizione normale (e non l’eccezione) sia quella di non potersi fidare di quello che il figlio ti viene a dire. Un osservatorio selettivo, disponibile solo ai genitori dotati di computer, collegamento internet e disinvoltura nell’utilizzarli. Una asettica, incontrovertibile e perennemente controllabile registrazione di eventi che però priva genitori e figli di una bella palestra per il faticoso ed utile esercizio di raccontarsi le cose, di discutere su una bugia detta, di darsi un po’ di tempo per raccogliere il coraggio di dire la verità.
(Paola Pierantoni)