Cultura – Non chiamarmi zingaro

Genova, Teatro Duse, sabato 6 marzo. La scena è vuota. Non ci sono oggetti. Non una sedia. Non un colore, a parte il nero. La platea si riempie lentamente, soprattutto di ragazzi. Giovani sulla ventina.
Lo spettacolo ha girato l’Italia e chi lo reciterà non si è limitato ad interpretare un testo. Ma ne è l’artefice. Perché prima di scriverlo ha viaggiato l’Europa e ha registrato voci, ne ha fatto un libro (Pino Petruzzelli Non chiamarmi zingaro Ed. Chiarelettere Euro 12,60) e le ha interpretate.
L’attore consegna alla platea il suo diario di viaggio e il testo teatrale è l’occasione che porge al pubblico per capire cosa sia significato ieri e cosa significhi oggi essere rom in Italia e in Europa.


La scena è vuota, però quando si spengono le luci ed un solo spot illumina l’attore, si riempie di racconti. Sono le storie di Alin e Mari, dieci e otto anni che pescano sul greto dell’Arno alla “periferia della periferia di Pisa”. La bambina ha una malattia agli occhi e si ripara lo sguardo dal sole. Lo loro madre cucinerà quel pesce, pescato nei pressi del ponte che fa loro da casa. E c’è la tragedia di Eva, Danciu, Lenuca, e Mangji bambini morti nell’incendio scoppiato l’11 agosto del 2007 sotto il ponte di Pian di Rota alla periferia di Livorno. E il presidio contro il campo nomadi di Opera, periferia di Milano, presidio nel quale i razzisti che contaminano il nostro paese hanno offerto una delle loro più oscene interpretazioni. C’è la storia della prima maestra rom d’Albania, che a dodici anni ha compilato da sola il modulo di richiesta per una borsa di studio, ma c’è anche il silenzio di chi preferisce nascondere le proprie origini anche al marito. Petruzzelli racconta della pulita Svizzera e di come abbia sottratto i bambini nomadi alle loro famiglie d’origine. Un furto atroce perpetrato sino al 1972.
Attraverso le storie di tutti le distanze si accorciano ed i binari che paiono non sfiorarsi mai tra la nostra vita e la loro si toccano. E’ la vicenda di un popolo senza territorio che, forse perché non l’ha mai preteso, è stato sempre mandato via, da una ragion di stato sempre distante da chi è diverso o da chi ha un’idea di libertà altra.
La scena è vuota ma il tragitto verso la consapevolezza non richiede oggetti. E questo di Pino Petruzzelli non è solo teatro.
(Giovanna Profumo)