Elezioni – L’abbecedario della politica
Uno strano fenomeno si è verificato nei giorni scorsi lungo le strade di Genova. Specchi ammaliatori sono spuntati come funghi nel giro di una notte in tutta la città. Dalle umide sponde del Bisagno ai muri carichi di parietaria fronte mare, hanno lasciato stupiti i cittadini abituati ai vecchi cartelloni vinti dalla ruggine e dai bordi di legno gonfiati dalle intemperie. Su questi sberluccicanti pannelli attecchiranno i manifesti della campagna elettorale per le regionali in Liguria, che ormai tappezzano tutti gli altri spazi disponibili da molte settimane.
Da ponente a levante si rincorrono volti diversi tra politici di professione, professionisti militanti e non, persone comuni che hanno prestato il proprio viso ai candidati regionali. A cotanta umanità non corrisponde altrettanta varietà di linguaggio. L’impressione è che ormai l’abbecedario della politica sia un testo unico. Approvato da chi? Che i mentori della comunicazione siano gli stessi per uno schieramento e per l’altro? Che sia passata l’idea che la strategia dell’imitazione sia quella vincente?
Solo qualche anno fa i giornalisti stilavano classifiche su ciò che era di destra e ciò che era di sinistra, passando in rassegna dall’abbigliamento alle parole chiave. Esercizio in parte superficiale, ma a suo modo indicativo. Oggi, accanto agli eskimo dismessi e agli olimpi non elaborati, sono finite in cantina anche le parole della politica. Fiducia, futuro, merito e solidarietà si ripetono accanto a tutti i volti di destra e sinistra, supportate da ampie descrizioni di nuclei familiari solidi nel vincolo del matrimonio. Con difficoltà si intravede un costrutto dietro le frasi scelte. I ritratti non dispensano neanche uno sguardo enigmatico. Appiattimento.
Così un iscritto ad un circolo, dimentico della propria identità, può domandare durante una riunione quali parole usare per sensibilizzare persone non militanti al voto di un candidato piuttosto che all’altro. Il dito umettato del segretario scorre veloce alla pagina giusta dell’abbecedario ed ecco la frase da dispensare, con numeri ad effetto. Ma un tempo quelle parole non venivano da dentro?
I confini disegnati dalle parole dei manifesti elettorali non comprendono tutta la realtà. Come possono aver significato trascurando immigrati, coppie di fatto e non affrontando il precariato generalizzato e la crisi del sistema educativo?
Questo è un invito ad interrompere l’andar per obbiettivi, quando questi sono campagne elettorali che da qui a due anni immobilizzano il pensiero ed allontanano dalla realtà. Spostiamo il lenzuolo che copre le parole e lanciamolo sullo specchio… specchio delle mie brame chi è il più bello del reame?
(Maria Alisia Poggio)