Parola di ministro. La Polizia sa la verità sulla Diaz (ma tace)

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova ha disposto il rinvio a giudizio di 28 funzionari e agenti di polizia per i “fatti” della scuola Diaz. Non si tratta di conclusione inaspettata, almeno per coloro che hanno avuto modo di seguire con un po’ di attenzione cosa era successo.


Succintamente:
a) Il rinvio a giudizio non è per il vero e proprio “pestaggio” ma, salvo pochi casi, esclusivamente per imputazioni relative a fatti successivi, in pratica la falsificazione delle prove, la calunnia, cioè l’attribuzione ai “pestati” di reati non commessi. Il che significa che i funzionari di polizia non si sarebbero limitati a commettere reati in quella calda notte, ma avrebbero continuato anche in seguito, addirittura con comportamenti di maggiori gravità.
b) Oltre alla eventuale presenza di ordini superiori, sono rimasti pressoché sconosciuti gli autori materiali del “pestaggio”. Il che significa che nessuno tra i poliziotti che vi ha partecipato, tutti perfettamente identificati, ha parlato, ha ammesso di avere fatto qualche cosa, ha testimoniato sul comportamento dei colleghi, su cosa il collega avesse fatto.
Ora il caso vuole che tutti costoro, in quanto pubblici ufficiali, hanno il preciso dovere, la cui omissione è sanzionata penalmente, di comunicare ogni notizia di reato, di cui siano venuti a conoscenza.
Può essere che la correità impedisca la sanzione penale di tale obbligo, ma allora ciò vuol dire, sul piano logico, che tutti, coloro che si sono trovati all’interno della Diaz in quella brutta notte, nessuno escluso, ha partecipato a commettere dei reati.
Non è quindi solo un problema di “omertà”, ma qualche cosa di più grave.
c) Tutti i funzionari indagati per così gravi reati (calunnia, falso, ecc.), secondo quanto riportato dai giornali, avrebbero fatto carriera, acquisendo posizioni di maggiore responsabilità. Non diciamo che sono stati premiati, ma quantomeno si è fatto finta di nulla.
d) La notizia forse più grave però è data dalle dichiarazione del ministro Pisanu, enfatizzata dai telegiornali della giornata, ma rimasta priva di qualsiasi successivo commento: “la polizia è serena… la polizia sa cosa è successo”.
Come possa essere tranquillo, sereno un corpo di “tutori dell’ordine” e soprattutto il suo responsabile (il ministro degli Interni) che sa che non uno, due, ma molte decine di suoi membri, in posizioni di responsabilità, hanno commesso (o comunque sono accusati di aver commesso), nell’esercizio delle loro funzioni gravissimi reati, hanno perseverato (o comunque sono accusati di aver perseverato) per molto tempo ancora, accusando ingiustamente degli innocenti, è assolutamente incomprensibile.
Come possa essere sereno il ministro (o il corpo di polizia) sapendo di aver mantenuto in posizioni di responsabilità tali soggetti che – se le accuse fossero confermate – avrebbero dimostrato una rilevante propensione a delinquere, ancora esercitabile in tali funzioni, è ancora più incomprensibile.
In pari misura è incomprensibile la frase “la polizia sa cosa è successo”. Se sa, perché non parla, come è suo preciso dovere, perché non mette a disposizione della Magistratura quanto sa, perché non impone a tutti i suoi membri di dire tutto, ma proprio tutto?
Che senso ha questo oscuro messaggio? E non tranquillizzano nemmeno quegli esponenti della opposizione che invitano ad avere fiducia nella polizia.
Quale polizia? Quella che, in sintonia con il suo capo o su suggerimento del suo capo, è serena e… coperta?
(Vincenzo Paolillo, avvocato)