Salute mentale – Un cono d’ombra nel filmato su Basaglia
Un bel vedere, finalmente, Franco Basaglia in televisione, in prima serata, nello spazio riservato alla sterminata platea di teleutenti, comodamente seduti nelle loro tiepide case. Una bella storia, ben raccontata, felicemente recitata, articolata con tempi e cadenze credibili. Un filo rosso, ben visibile, che si dipana dal groviglio e si disseppellisce dalle nebbie, ci restituisce il senso della riuscita lotta di un manipolo di coraggiosi e sapienti contro uno dei luoghi più emblematici dell’esclusione sociale delle persone più fragili, colpevolmente sequestrate in un mondo di umiliazione e violenza.
Operazione riuscita dunque, televisione di qualità informativa ed educativa, toni coinvolgenti. E impegno su temi che più profondamente hanno fatto discutere la società italiana e mondiale negli ultimi 10 anni: la considerazione delle persone portatrici di male mentale, i luoghi della cura, il valore delle scienze biologiche e umane, il significato della repressione sociale o della liberazione. Narrazione limpida e storicamente documentata del percorso italiano che, unico al mondo, ha portato alla chiusura dei manicomi. Uno dei pochi fatti rilevanti nel campo della salute mentale negli ultimi decenni. L’ha detto l’O.M.S. nel 2003, e ci sono numerosissimi studi epidemiologici che lo attestano.
Si potrebbe dire che si è materializzato nel piccolo schermo un percorso di prevenzione di massa nel campo della salute mentale e un utile intervento di lotta allo stigma, al marchio che segna la condizione umana e il destino dei sofferenti nella psiche e delle persone che sono in relazione con loro.
Come fondamentale operazione di prevenzione e di cura e momento di rottura delle catene visibili e invisibili è stata la chiusura dei manicomi.
Ma c’è un però, un punto oscuro, qualcosa che segnala una debolezza o ancora più seriamente una inversione di sensibilità. Ed è, a nostro avviso, il cono d’ombra in cui, nel filmato, sono state posti le assistenti sociali e gli assistenti sociali ( è professione in assoluta prevalenza femminile, per questo comunemente si dice al femminile).
Nello scorrere della storia sono citate soltanto due volte ed entrambe le volte con connotazioni negative. La prima quando si citano i titoli mancanti a Franca Basaglia per poter essere assunta a Gorizia: “non è psicologa – si dice – neanche assistente sociale”, con quel neanche che dà una coloritura da ultima cosa del mondo. La seconda quando viene rappresentata la classica figura dell’assistente sociale, indurita dalla vita, arcigna e anaffettiva, che toglie i bambini senza se e senza ma all’infermiera più appassionata e più appassionante che ha seguito Basaglia e i suoi pazienti a Trieste.
Eppure le assistenti sociali hanno avuto un ruolo determinante nella destrutturazione dell’istituzione totale, nella rottura degli assetti gerarchici di potere che la governavano, nel farsi portatrici in carne ed ossa di quei bisogni sociali che tanto turbano gli “scienziati” asettici e di potere e degli umanisti dell’onnipotenza parolaia. E un ruolo ancor maggiore lo hanno avuto nella costituzione di equipes multiprofessionali che potessero prendere in carico bisogni esistenziali profondi e radicali e aprire la strada all’affermazione di diritti umani, civili e sociali, nei luoghi dove erano stati più calpestati. Hanno vestito i denudati, hanno faticosamente ricostruito l’autonomia alimentare, motoria ed espressiva di persone regredite, hanno ricostruito reti di protezione sociale negli opachi meandri della burocrazia, hanno collaborato a valorizzare capacità e talenti nel campo del lavoro e della interazione sociale, hanno contribuito a dare spessore materiale e sociale all a parola che veniva ridata ai muti per mutilazione. Perché la malattia mentale parla e ci parla.
Ma poi sono arrivati i nuovi miti scientisti, la richiesta di efficienza dettata dal mercato, l’aziendalismo, la ricostruzione delle gerarchie e con esse la nuova corporativizzazione delle professioni, con conseguente rottura dell’agire cooperativo.
Ma questa è storia dell’oggi. Del domani non si sa, dipende da noi.
Allora non vorremmo che il cono d’ombra rilevato nel filmato – il però – fosse un segno dei tempi, un anti – sociale indicatore di tendenza.
(Angelo Guarnieri)