Ex libris – Il piccolo Lutring di Luciana Lanzarotti

Suona strano, però anche oggi puoi partecipare ad un incontro pubblico a Genova ed ascoltare un professore rivendicare con veemenza all’uditorio “sono terrone”. Puoi ancora incontrare una donna diretta da Milano a Loano che ricorda ai casuali compagni di carrozza il suo primo viaggio in treno. Una famiglia intera in movimento da Lampedusa a Milano, per lavoro, e come comitato di accoglienza un bel “terroni” al quale oppone impegno quotidiano sul lavoro, silenzio dignitoso e talvolta due parole ben dette. Si oppone, non si opponeva. Il comitato sembra non essersi sciolto.


Due coincidenze che riportano indietro di cinquant’anni, al miracolo economico italiano, all’immigrazione da Sud a Nord, ai quartieri dormitorio. O semplicemente l’indice di una perenne difficoltà ad accettare l’alterità? Ugualmente straniti lasciano le prime pagine de Il piccolo Lutring di Luciana Lanzarotti, romanzo tratto da una vita vera, che ha come protagonista Giovanni, un bambino immigrato da un piccolo paese del beneventano a Genova. Doppiamente straniti al pensiero che Genova, oggi dimessa e taciturna, era non molto tempo fa uno dei vertici del triangolo industriale, insieme a Torino e Milano. Città dotata di una sua delegazione di benvenuto, che non appena Giovanni, con mamma, fratellini e pacchi legati con lo spago, scende dal taxi nei pressi di Caricamento prende la corsa chiedendo una frettatina al sedile. Il taxista accontenta la signora ben vestita, fa anche passare un filo d’aria dal finestrino e asserisce “E cuntinuan a vegnì sciu […] Semmo pin de ter roin”.
L’affabulazione della Lanzarotti è corpo e terra calpestata, conduce il lettore a correre con Giovanni nel dedalo dei vicoli di una Genova fatta di carne e di umori, dal profumo delle calze di lana della mamma, mentre dormono tutti insieme testa-piedi nel letto, alle mollezze della matrona del bordello a cui sottrae la cassa coi soldi. L’emarginazione non scalfisce la magia dell’infanzia, la rende semplicemente più concreta e dubbiosa. Giovanni parla con l’uomo invisibile dei fumetti, gioca agli indiani con i monelli del quartiere, però, guardando Gesù in croce, riflette tra sé che se quella è la fine dei giusti ha ben paura della giustizia. Dall’infanzia all’adolescenza il passo è breve, tanto quanto quello tra le bravate di un ragazzino e il primo carcere per scippo. Quando le porte di Marassi si riaprono Giovanni ha una collocazione definitiva nella società, l’ombra. A poche ore dalla scarcerazione viene accusato dai carabinieri di alcune “spaccate” con furto a delle vetri ne. Estraneo ai fatti, decide adolescenzialmente di sfidare la giustizia che lo vuole ora mai delinquente. Dalle poche presunte a sessanta vetrine realmente infrante. Senza accorgersene assume allo specchio il ruolo che la società vuole per lui. La fama del piccolo Lutring.
All’apice giunge nuovamente il carcere. Poi la meta ultima del “mondo a parte”: il manicomio criminale. Un lager nel quale l’unico scampolo di dignità concesso a Giovanni, il sapone della lavanderia con cui sfregare il proprio corpo, riporta alle pagine di Se questo e’ un uomo in cui Levi raccontava come il lavarsi fosse l’unico strumento di sopravvivenza morale. Proprio nella condizione bestiale del manicomio il protagonista trova riscatto. Per conto di Soccorso Rosso riprende con una telecamera nascosta la realtà dei pazienti-detenuti, disvelandola alla società. Per Giovanni, come per tanti, non è luce del sole, ma nemmeno ombra, non è vita da sceneggiato televisivo, ma nemmeno notizia di cronaca, non è fuga alternativa, ma definitivamente linea di confine, punto di vista privilegiato e disincantato sulla realtà.
http://it.wikipedia.org/wiki/Soccorso_Rosso_Militante
http://www.archivio.francarame.it/scheda.asp?id=012821&from=1&descrizione=SOCC
(m.a.p.)