Politica – Colori senza bandiere
Il 4 dicembre su Repubblica Matteo Tonelli nel suo articolo titolato “Quando i colori diventano bandiere” prende spunto dal popolo viola per compiere un excursus sulle “Tonalità che hanno segnato e segnano la lotta politica”.
La simbologia del colore non è certo una novità. Il fatto è che ora, almeno in Italia, i colori non suggeriscono più una retrostante bandiera.
Le persone che riempiono le piazze sempre più si convocano attraverso la rete, e scelgono il colore che li farà sentire gruppo, che li renderà riconoscibili quando dal web scenderanno nel mondo fisico delle città. Dopo il viola del NoBday, ora sta emergendo il giallo dello sciopero dei lavoratori stranieri del 1 marzo.
In entrambi i casi, girando per i rispettivi siti, risulta evidente che il primo requisito della tinta identitaria è quello “di non essere di nessun partito, di nessuna storia, di nessuna tradizione … colore libero … casella non occupata … simbolo di nessuna identità pregressa … un colore che non rimanda a nessuno schieramento politico”.
Nelle manifestazioni delle ere politiche precedenti l’unità era simboleggiata non dalla assenza, ma dalla compresenza di molte bandiere: di Cgil, Cisl, Uil nelle manifestazioni sindacali; di tutte le bandiere del sindacato, più quelle dei partiti, più gli striscioni di associazioni e gruppi nelle manifestazioni più grandi, più politiche. Molte bandiere, una identità sotto ciascuna bandiera, uno scopo comune tra tutte le identità. Nessuno si sognava di prendere le distanze dalle “identità pregresse”: ognuno sentiva che la battaglia del momento era la figlia, lo sviluppo, la possibilità aperta da quel che aveva preceduto e che ancora viveva. C’erano i padri, c’erano le madri e c’erano i figli. Litigavano ma si riconoscevano.
Ora sotto i colori inventati sulla rete ci sono i figli poco amati di genitori lontani, molto presi di se stessi e singolarmente sordi rispetto a quel che avviene loro intorno.
A volte dai padri e dalle madri lontane vengono anche parole di buon senso. Ad esempio Pietro Soldini della Cgil nazionale, intervistato da L’Unità (7 gennaio 2010) a proposito dello sciopero dei lavoratori stranieri del 1 marzo (vedi la pagina su Facebook: http://www.facebook.com/home.php#!/group.php?gid=237442792026&ref=ts) osserva: “Che gli immigrati un giorno si fermino tutti e facciano pesare la loro utilità è una bella suggestione, ma difficilmente realizzabile … lavorano in condizioni di assoggettamento, soggezione, neo schiavismo in alcuni casi. Subiscono una forte ricattabilità e questo rende arduo che possano mettersi d’accordo e, anche solo per un giorno, alzare la testa … Un flop sarebbe un problema molto serio … occorre trovare insieme la forma di mobilitazione più idonea”. Idee assennate, ma la saggezza e la prudenza non bastano: resta il fatto che senza l’iniziativa di qua ttro donne che hanno lanciato la proposta su Facebook, oggi non sarebbe all’ordine del giorno la proposta di una mobilitazione nazionale contro la condizione sempre più vergognosa in cui sono costretti a vivere gli immigrati in Italia.
Proposte, controproposte, mediazioni sono in corso. Lo “sciopero degli immigrati” è diventato “la giornata senza gli immigrati”. Il 1 marzo una manifestazione ci sarà. (http://www.reset-italia.net/2010/01/09/1-marzo-2010-la-giornata-senza-immigrati/) .
(Paola Pierantoni)