Regime. Vietato pensare (male) del dopo elezioni?

Strano paese il nostro. La destra prosegue indefessa nella sua opera di devastazione dei fondamenti morali, costituzionali, economici; si è arrivati anche allo scambio fra dignità e inutili poltrone; ma sono ancora in molti, in troppi, a provare fastidio per la parola regime.


Che dico fastidio, di più: brividi nella schiena, orticaria. Forse è opportuno ricordare che la discussione su “regime sì, regime no” non è semantica. Se così fosse, il termine regime si ridurrebbe a significare “forma di governo” e avrebbe bisogno di qualche aggettivo che la specificasse. No, la discussione non è semantica, è politica. E il termine viene attribuito, ritengo opportunamente, alle modalità e ai contenuti dell’azione dell’attuale governo e, ancora più, al controllo ferreo delle principali fonti di informazione (se così si possono definire).
Vale sempre la pena di ricordare alcune di queste modalità: mutilazione della Costituzione; riduzione dei sistemi di garanzia e dei diritti; leggi ad personam; premiazione delle illegalità e istigazione ad esse; tutela dei privilegi dei ricchi e di pochi; svuotamento e umiliazione del ruolo del Parlamento; limitazione del ruolo delle autonomie locali; svuotamento del principio (e della sostanza) della separazione dei poteri e riduzione a mera rappresentanza del ruolo del Presidente della Repubblica; devastazione delle leggi, peraltro già deboli e inefficaci, di tutela ambientale; impoverimento del Paese e mortificazione del suo ruolo internazionale; rapina nelle tasche di lavoratori e pensionati attraverso la non restituzione del drenaggio fiscale; imbroglio sulle tasse; attacco al ruolo del sindacato. Difficile persino ricordarle tutte, farne l’elenco completo. Ne va aggiunta tuttavia almeno un’altra, e riguarda le garanzie democratiche: la progressiva costruzione di un apparato repressivo, fatto di reparti speciali dotati oggi di sostanziale autonomia, che riduce la sua attenzione ai fatti di ordinaria criminalità (questa fa gioco, anzi, per seminare paura e sfruttarla in termini di propaganda) per concentrarsi invece sul dissenso sociale. Insomma, l’applicazione sostanziale del programma redatto a suo tempo dalla P2.
E’ davvero singolare che coloro che provano brividi e orticaria a sentir parlare di regime non denuncino analogo fastidio per gli atti di governo che ho provato ad elencare. Che dico fastidio, di più: indignazione. Allora viene un sospetto terribile. Forse non ci si indigna abbastanza perché si pensa che quelle cose stiano dentro una “normale” attività di governo da misurare in una “normale” dialettica democratica. C’è perfino chi teme che quelle leggi non saranno abrogate quando governerà l’opposizione, ma al massimo qua e là emendate.
Allora è forse il caso, in vista delle ravvicinate scadenze politiche, di impegnarsi davvero in un chiarimento di fondo sulle cose da fare, sui famosi punti programmatici. E farlo coinvolgendo davvero tante persone, a cominciare da quelle deluse che nonostante tutto sono ancora disponibili. E farlo dandoci assicurazione che non ci si rassegnerà all’instaurazione di un “regime riformista”.
(Giuliano Giuliani)