Lettere – Il rebus della sanità
Alla fine di gennaio il Secolo XIX “ha rivelato” il piano della ristrutturazione sanitaria genovese, definendo “una rivoluzione degli uffici e ambulatori” l’idea di traslocare le attività che si svolgono tanto in via Assarotti quanto in via Archimede nel palazzo di Pammatone della Foce.
Il ragionamento ha una sua logica amministrativa: le strutture attuali sono vecchie, e in questi casi le manutenzioni sono difficili e costose. Insomma la scarsa funzionalità unita alla necessità di risparmiare imporrebbero un sacrificio: un ufficio centralizzato dove troverebbe posto anche l’utenza della Foce potrebbe funzionare meglio, come il palazzo della salute di via Brigate Partigiane, gestito dall’ospedale San Martino.
Invero la gente che usufruisce delle due storiche sedi della ex mutua (molti servizi articolati, dagli ambulatori specialistici all’anagrafe sanitaria, all’assistenza ai disabili) è davvero tanta e rappresenta un centro cittadino molto vasto, da via Napoli a Quezzi, da San Fruttuoso a zone estese della Val Bisagno.
Tutta questa utenza, dalla pensionata di Via Napoli a quella di Via Berghini, dovrebbe accollarsi almeno un autobus in più sul groppone perché, come si vede quando si passa davanti alla ASL di via Assarotti, mica tutti vanno in macchina o in taxi. Si vedono donne, soprattutto donne, casalinghe, lavoranti, giovani madri, straniere e in particolare, visto che siamo a Genova, quelle che avendo una certa età hanno bisogno di servizi sanitari particolari.
Certamente, c’è sempre l’alternativa delle strutture private o convenzionate: queste sì che sono un po’ ovunque.
Ora far prender due autobus ad un sacco di persone (ma la AMT non sta riducendo le corse?) per andare in un posto dove comunque – per quanto idilliaco e per quanto possa diventare superefficiente – ci sarà da aspettare delle ore se non delle mattinate, appare come una tortura cinese visto che la maggior parte saranno appunto anziani; per non parlare poi delle mamme, dei parcheggi, della Foce ventosa e fredda e comunque decentrata, anche se i giochi si voglio fare lì. Una tortura cinese, cioè una sorta di punizione incomprensibile, una cosa peregrina che fa a pugni con ogni minimo buon senso. E anche con il rispetto, perché quella sanità lì (l’unica che abbiamo) è stata costruita e pagata con i canonici quarantanni di contributi dei lavoratori e delle lavoratrici, dalla maggioranza delle persone che normalmente vanno in Via Archimede e in Via Assarotti per i prelievi o le pratiche di assistenza domiciliare.
Vittorio Coletti, sul Venerdì di Repubblica, ha stigmatizzato una lettrice sostenendo che i “guasti berlusconiani” si vedono anche nella pessima distribuzione delle risorse, quasi sempre indirizzate verso i governi locali amici.
E’ indubbio che, nel caso della sanità ligure e delle difficoltà presenti, questa pratica da basso impero sia stata determinante nelle scelte del recente passato o dell’oggi, ma arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro.
(Elio Rosati)