Cinema – “A single man” e il pregiudizio dei critici
Vedere “A single man” senza aver letto le critiche permette di emozionarsi liberamente per il dramma che scorre sotto la superficie del comportamento esteriormente controllatissimo del protagonista, la cui vita perde improvvisamente di senso. Il suo compagno, un amore profondo che durava da tanto tempo, muore in un incidente, ma questo è un dolore che non si poteva esprimere nell’America degli anni ’60, e lui è costretto a sorvegliare ogni minimo gesto per tutelarsi dal pericolo di una inaccettabile espressione pubblica di disperazione, per difendere la sua dignità.
Il controllo ossessivo degli atti quotidiani lo porta a lato della realtà, che gli si manifesta in forme surreali e grottesche, rivelando ciò che scorre sotto le apparenze. La sua distanza da quel che gli accade intorno è sempre più grande, le persone che incontra lo avvertono, piccoli momenti di imbarazzo e di incertezza costellano la sua giornata.
Ogni tanto però il controllo si incrina, per qualche istante le emozioni escono, si esprimono, momenti brevissimi ma intensi, a volte violenti, profondi. E c’è sempre qualcuno vicino che li raccoglie, che risponde al contatto emotivo. E’ la speranza, la possibilità che porta il film. La morte avrà comunque l’ultima parola, ma sarà una morte trasformata, pacificata.
Al termine c’è chi resta seduto in silenzio, c’è chi piange.
Le critiche si possono cercare anche dopo, sui giornali e sui siti. Nella maggioranza dei casi il giudizio sul film viene condizionato dal pregiudizio sul regista, Tom Ford, “un celebre divo gay della moda alla sua prima regia, di ammaliante e giovanile bellezza”, come scrive Natalia Aspesi su La Repubblica. Grande risalto (un po’ in lode, ma soprattutto in critica) alla eleganza formale, alla cura dei dettagli, al perfezionismo estetico, alla cura delle inquadrature ecc…, pochissimi riferimenti alla intensità emotiva che mi è parsa il vero regalo di “A single man”, certo merito di un attore spettacolare (Colin Firth), ma altrettanto, almeno, merito del regista. Solo Alberto Crespi su L’Unità del 15 gennaio coglie questo punto e osserva “E’ incredibile come noi critici lavoriamo sui cliché… ‘A Single Man’ è una riflessione sul lutto e sull’attesa della morte. Il fatto che le immagini siano «belle» non toglie alcuna profondità a tale riflessione… “
(Paola Pierantoni)