Lettere – La guerra della cultura
Il bel libro del critico musicale Simon Reynolds Post punk 1978-1984 (ed. ISBN) racconta la grande stagione creativa della fine degli anni Settanta quando nuove e suggestive sonorità irruppero sulla scena musicale mondiale. Anche atteggiamenti, modi di essere o ribellioni come il dark, insieme all’uso tribale delle tecnologie, la diffusione della multimedialità e della promiscuità. Con l’idea che assieme al disfacimento del Novecento in qualche modo la devoluzione fosse davvero arrivata.
Il libro contiene una interpretazione molto affascinante di quel momento giovanile: Reynolds accredita la tesi sociologica che il movimento che nacque dal punk, stemperandone le violenze ma mantenendone intatta la genuina aggressività, fu una caratteristica specifica delle città toccate dal declino industriale. Manchester, Birmingham, Sheffield, in Inghilterra, Cleveland in Ohio, città al centro del sistema produttivo fordista che erano scoppiate o stavano scoppiando sotto la mannaia della crisi produttiva e industriale.
Così come i ragazzi delle Università decentrate degli Stati Uniti, i ragazzi inglesi e scozzesi di quelle città, reagirono lanciandosi in una pazza corsa in avanti: e tutto cambiò nelle persone, nella moda, nella quotidianità e la musica cominciò a rappresentare una possibilità di esprimere se stessi compiutamente e completamente.
Il libro è molto bello, ma è anche una spina nel cuore, perché insieme alle emozioni di quei giorni mi ha fatto riflettere sulle disgrazie presenti e passate. Anche Genova è una grande decaduta città industriale del Novecento, ma a Genova non si è riusciti a far quasi niente di quello che è successo nelle altre città con gli stessi problemi. Se ripenso adesso a quegli anni posso solo ringraziare lo Psycho Club di Vico Carmagnola e l’indomito Totò Miggiano che continua a produrre cultura o ricordare con affetto Antonio Porcelli (che non c’è più) ed alcuni artisti che insieme provavano a uscire dalla maccaia genovese con frizzanti e coloratissime “surrealità”. Non abbastanza per un nuovo corso delle cose che non è mai cominciato. Ne vogliamo un esempio?
La molto sanguinosa “guerra della cultura” che si è svolta a Genova sul finire dell’anno appena passato ed oltre. Incomprensioni, bisticci, che hanno portato al ridimensionamento del ruolo del consulente prestigioso e all’arrivo di una più fidata (ma meno pagata) consulenza locale. Questo in sintesi il succo, ma c’è stata invero una guerra combattuta nelle trincee, con assalti, ululati di sirene, vita di retrovie, messaggi di pace e sfottò. I giornali hanno fatto da cassa di risonanza: un giorno Repubblica ha pubblicato una versione, diciamo alla genovese, di quelli che… in cui Dalla Chiesa prendeva in giro simpaticamente (ma forse no!) quelli che appunto a Genova non gli va mai bene niente, un altro giorno l’assessore Ranieri sproloquiava dalla carta stampata di una città digitale che intravede solo lui come futuro di emancipazione, un altro giorno si parlava del patto di ferro tra l’assessore e il presidente della Fondazione della Cultura Borzani sulle comun i strategie culturali. Insomma pure la sindaco è stata chiamata in mezzo perché la nuova consulente, docente nell’Università cittadina, rappresenterebbe la sua longa manus sulle scelte politiche, diciamo così sottese a quelle – sic! – culturali o viceversa. E si sa che la professoressa è vicina al partito democratico tanto da avere svolto già in altro tempo il ruolo di facilitatore quando c’erano incomprensioni (o pallottole?) che volavano tra Vincenzi e Burlando.
“Capite” che voragini di distanza e di rammarico mi procura il libro di Reynolds su uno dei momenti più intensi di questo secolo quando i ragazzi e le ragazze hanno cominciato davvero a fare cultura da loro stessi.
(Elio Rosati)