Teatro. Il sonnellino di Maggiani e il letargo culturale

E’ importante che i lettori del Secolo XIX (28 novembre 2004) sappiano che Maurizio Maggiani, quando va a teatro, si fa delle solenni dormite?


Se è vero che l’insonnia è uno dei problemi della nostra epoca, chi gestisce i teatri dovrebbe essere felice. Meno gli industriali farmaceutici: diminuirebbero le vendite di farmaci che agevolano il sonno e aumenterebbe la vendita dei biglietti.
Evidentemente il problema non è che Maurizio Maggiani abbia dormito, sono problemi suoi, ma che ce lo venga a raccontare, facendolo diventare un problema nostro.
Sarebbe fin troppo facile vedere in questo bisogno di raccontarlo un tipico tratto del frequentatore del Maurizio Costanzo Show. Viene spontaneo, invece, chiedersi perché abbia sentito il bisogno di farlo, nella forma, sottilmente ipocrita, dell’autoaccusa, che cela (e neppure tanto), invece, un’accusa di sostanza agli spettacoli che lo hanno fatto dormire e l’istituzione (il Teatro di Genova) che li ha ospitati; perché abbia sentito il bisogno di farlo, e dalle pagine di una “istituzione” come il Secolo XIX, adesso che, una volta tanto, la qualità dell’offerta è stata alta, quasi un risarcimento di tante assenze dal palcoscenico più importante della città. Risarcimento parziale, se si pensa, ad esempio, che mai a Genova si è visto uno spettacolo di Peter Brook (un altro mostro sacro che farebbe dormire Maggiani?).
L’unica critica comprensibile, in questo caso, sarebbe, infatti, che questi spettacoli sono arrivati troppo tardi, che non sono arrivati più frequentemente, che si sia aspettato il riconoscimento universale del loro valore e che non ci sia mai stato il desiderio, il coraggio e l’orgoglio della “scoperta”, quando poteva sembrare azzardata: lo fece anni fa la Tosse con le Tre sorelle di Nekrosius, lo ha fatto qualche anno fa l’Archivolto, ad esempio con la Raffaello Sanzio, persino il Carlo Felice con un indimenticabile Blu Reider di Bob Wilson.
Quella che è mancata, per troppi anni, è stata la continuità, la fiducia che questa politica potesse essere la sfida da lanciare e da vincere.
Maggiani non lamenta questo ritardo, ma accredita (la accredita per il futuro) invece l’idea che la presenza di questi spettacoli è stata inutile, perché intanto non c’è niente da fare. Che tanto vale continuare con le abitudini di prima. E non si rende conto che proprio l’assenza di questo grande teatro impedisce anche il manifestarsi di quel “nuovo”, quelle “voci sotterranee” come le chiama e che (colpevolizzandosi, ma in realtà assolvendosi) dice di non aver più voglia di cercare.
Farò anch’io una confessione di spettatore. Nei limiti dell’età, del tempo e delle risorse finanziarie a disposizione, continuo a prendere treni ed aerei (ormai costano lo stesso) per vedere teatro dentro e fuori le istituzioni, sia seguendo le “guide ufficiali”, sia seguendo le “voci sotterranee”, i “passa parola”: e quasi sempre concludo che ne è valsa la pena.
Secondo Maggiani la “cultura teatrale europea” non sta “inventando niente di nuovo”, ma nello stesso tempo ammette di non conoscerla e di non aver voglia di andare a cercarla. Sono convinto che, anche lo facesse, non se ne accorgerebbe perché nel frattempo ha dormito. Però Maggiani ha la presunzione di pensare (è questa l’ipocrisia del suo discorso) che non ne valga la pena. E’ questo, infatti, il senso vero del suo discorso, del suo modo di argomentare. Perché il vero bersaglio di Maggiani è proprio la cultura teatrale, il teatro. In questo Maggiani, nel ripetere un luogo comune che mi è capitato sentire spesso dai superficiali spettatori delle “prime” genovesi, è in sintonia con una intellighenzia genovese un po’ snob, che evidentemente preferisce altri svaghi e che, sotto sotto, preferirebbe altri investimenti culturali.
Spero che i responsabili dei teatri genovesi non prendano spunto (o alibi) da queste prese di posizione per negare ancora a Genova quel teatro che finalmente a Genova è arrivato.
(Franco Vazzoler, insegna Letteratura teatrale italiana presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova)