Inceneritori. Avvelenati da impianti “tecnicamente corretti”

Martino Bolla, ingegnere ligure, consulente a Brescia per la costruzione del più grande inceneritore d’Europa, in una recente intervista al Secolo XIX, ha definito tecnicamente “scorrette” le preoccupazioni degli ambientalisti sulle emissioni di tali impianti. Ecco la risposta di un addetto ad altri lavori.


Caro ingegnere,
sicuramente le turbine da lei progettate sono le migliori del mondo. Ma, per cortesia, continui a progettare turbine (lavoro certamente complesso e di grande responsabilità) e lasci a persone competenti le valutazioni sui possibili rischi connessi con le emissioni delle macchine che lei contribuisce a costruire. Queste competenze sono quelle che fanno parte del bagaglio culturale e professionale di tossicologi, epidemiologi, chimici e medici ambientali, ossia studiosi e ricercatori che probabilmente hanno le idee più chiare delle sue di quali siano i problemi ambientali e sanitari creati da diossine e altri composti tossici presenti nelle emissioni gassose, liquide e solide di un inceneritore.
Forse lei non lo sa, ma nel 2001 l’Unione Europea, in base a studi sugli effetti prodotti dall’esposizioni a basse dosi di diossine, quali quelle assunte durante l’allattamento materno, ha ritenuto opportuno abbassare la dose tollerabile giornaliera di diossine da 10 a 2 picogrammi per chilo di peso.
Gli effetti riscontrati sono un ritardo nello sviluppo puberale di maschi e femmine ed una maggiore propensione, anche da parte dei maschietti, a giochi ritenuti prettamente femminili.
Come vede nulla di particolarmente grave, ma forse è meglio che i nostri bambini ciuccino un latte con qualche picogrammo di diossine in meno, piuttosto che con qualche picogrammo in più, come sarà inevitabile, se sarà realizzato il piano nazionale dei rifiuti che probabilmente anche lei auspica.
Il fatto è che mentre Lei e molti suoi colleghi comunicano notizie tranquillizzanti, il mondo scientifico che seriamente studia questi problemi è preoccupato e ha da tempo consigliato i paesi dell’Unione di ridurre il più possibile tutte le fonti di diossine, compreso l’incenerimento dei rifiuti.
Tutto sommato, Francia, Belgio, Germania, Stati Uniti, Giappone, stanno seguendo questo consiglio e hanno già spento numerosi termovalorizzatori, sia perché inquinanti, sia perché, grazie al riciclaggio, non hanno più nulla da far loro bruciare.
L’Italia, come lei sa, è l’unico paese al mondo che sulle politiche di gestione dei rifiuti va controtendenza e c’è chi auspica un termovalorizzatore in ogni capoluogo di provincia. In base alle informazioni ufficiali comunicate dal Commissario per l’emergenza rifiuti della Campania, il termovalorizzatore di Acerra garantirà a chi abita intorno all’impianto 548 milioni di picogrammi di diossine al giorno. Questa quantità equivale alla dose giornaliera tollerabile di circa quattro milioni di adulti, a fronte di una popolazione acerrana di circa 44.000 individui, bambini compresi. Analoghe quantità saranno emesse da ogni nuovo termovalorizzatore e temo che non sia tranquillizzante la recente notizia che le diossine assorbite sulle polveri fini possono viaggiare sulle ali del vento anche per centinaia di chilometri prima di ricadere su campi coltivati, laghi e mari, dove si concentreranno, lungo le catene alimentari destinate, prima o poi a finire nei nostri piatti.
(Federico Valerio, responsabile Laboratorio di Chimica Ambientale Istituto Nazionale Ricerca sul Cancro, Genova)