Cinema – Genova, città catartica per Winterbottom

Un regista di talento, l’inglese Michael Winterbottom, folgorato da una delle città più affascinanti e “cinematografiche” – ma cinematograficamente poco sfruttata – del nostro Paese. Il risultato di questo inaspettato connubio è Genova, girato nella nostra città nell’estate del 2007 e uscito, finalmente, nelle sale di tutta Italia il 16 ottobre scorso.
Ma chi si aspettava una pellicola impegnata e di denuncia “alla” Winterbottom (autore, tra gli altri, di Welcome to Sarajevo, Road to Guantanamo, Cose di questo mondo, e A Mighty Heart) è rimasto deluso, perché l’ultima opera del regista inglese è un ritorno al cinema tradizionale, alla fiction pura.


Tre i protagonisti: il professore universitario Joe e le sue due figlie, entrambe coinvolte nell’incidente d’auto che apre il film e nel quale la loro madre perde la vita. Dopo la tragedia che ha sconvolto la sua famiglia, Joe decide di trasferirsi a Genova, ma trovare un nuovo equilibrio è difficile. Kelly è una adolescente inquieta e seduttiva, che cerca di superare il dolore passando da un amorazzo all’altro e la piccola Mary, tormentata dai sensi di colpa, è incapace di accettare la morte della madre e ne insegue il fantasma tra le strade di Genova.
L’inizio del film sembra intrigante, ma la trama ben presto si rivela modesta. Attraverso la geografia instabile e ambigua di Genova e della riviera di levante, con il fascino delle sue chiese buie, con la bellezza sporca, minacciosa e claustrofobica dei suoi vicoli, con il suo verde accecante che si specchia nel mare ed è ferito da zone d’ombra nelle quali perdersi, Winterbottom tenta di rincorrere lo smarrimento che la morte ha proiettato sui suoi personaggi, ma il suo è uno sguardo superficiale, che non riesce a dar forma al loro dolore, al loro disorientamento e alla loro incapacità di affrontare l’assenza.
Lo stordimento e la solitudine di Joe, il suo timido volgersi di nuovo alla vita, che Colin Firth restituisce con una stanca piattezza, la sua incapacità di rispondere al dolore delle figlie, le sue frustrazioni rimangono inespressi, intrappolati nell’errare frammentato e discontinuo di Winterbottom, che finisce per perdersi nell’accumulo dei percorsi intrapresi. Rimane distante e mal delineato il tentativo di dare forma al senso di oppressione che soffoca Kelly, e anche il personaggio che il regista sembra amare di più, la spaventata e indifesa Mary, non possiede alcuna intensità o spessore, e la sua impossibilità di lasciar andare sua madre non vibra mai sullo schermo, ma lascia solo un senso di sterile incompiutezza.
La quarta protagonista, Genova, è l’unica che invece “esce bene” dal film: Winterbottom è comunque un abile maestro del digitale (e il direttore della fotografia Marcel Zyskind ci regala accattivanti vedute in “camera-scooter”) e nonostante la scarsità dei mezzi impiegati, riesce a mostrare una Genova che non ci si aspetta: zero cartolina, niente luoghi comuni, ma quei «quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi» che la rendono unica. Gli attori:
Joe – Colin Firth, vincitore della Coppa Volpi (2009) per A Single Man
Kelly – Willa Holland
Mary – Perla Haney-Jardine
(Francesca Savino)