Lobbies – Il sequestro dei sentieri
Una splendida domenica di Ottobre sull’alta via dei monti liguri, cielo limpido, animo allegro e disteso. Ma ecco il cartello: sul sentiero è in atto una battuta di caccia al cinghiale. E allora? Che deve fare l’escursionista? Tornarsene indietro, o proseguire “stando attento”? Ma attento a che? L’animo si increspa in un lieve malumore, ma il sentiero non è dichiarato “inagibile”, e allora si prosegue. Dopo una mezz’oretta ci siamo: in corrispondenza di un passo ecco la “squadra”: una decina di cacciatori con splendenti giacche arancioni ad alta visibilità (Ahi! L’escursionista non ci ha pensato! Indossa pantaloni verde scuro ed una t-shirt nera; si rammarica, l’imprudente, ma che farci ormai?) sono distribuiti a lato del sentiero, ad una quindicina di metri l’uno dall’altro, coi fucili imbracciati.
Dal fondo valle si sentono i cani, stanno stanando gli animali, e gli armati li attendono al passo. L’increspatura dell’animo si accentua, la scena evoca spiacevoli immagini di rastrellamenti militari, e si affaccia una lieve inquietudine, subito ricacciata indietro, però: sono in tanti appunto per impedire che bestie ferite e spaventate possano finire sul sentiero. Ma ecco che, poco dopo, ai segnavia della F.I.E. si affiancano macchie di sangue fresco che si susseguono una dopo l’altra, marchiando il sentiero. L’animo si annuvola definitivamente. La vaga inquietudine si trasforma in più concreta preoccupazione: è passata da poco una bestia ferita e l’escursionista non ha nessuna voglia di vedersela con lei. Ma di un’altra cosa non trascurabile l’escursionista non ha alcun desiderio, e cioè doversi obbligatoriamente confrontare con la sofferenza e con la morte. Ormai gli gira nel cervello l’immagine di una bestia spaventata e sofferente, e questo – non può farci niente – gli provoca tristezza e pena. Dopo qualche centinaio di metri eccolo il cinghiale, morto, un piccolo cinghiale di pochi mesi. L’escursionista si compiace di vedere la bestia già morta e non agonizzante.
Più avanti, mentre attraversa una boscaglia, quattro cinque colpi di fucile molto forti e vicini lo spingono a “fare voci”, come direbbe Camilleri, per segnalare la sua natura umana e non ferina. Poi finalmente la zona della battuta termina, e l’ultima ora passa nel silenzio, inerpicandosi sul monte.
Al ritorno maschie voci entusiaste: la caccia è finita. Le bestie morte vengono trascinate a fondo valle. Si incrociano altri gitanti col cuore annuvolato, scambi di commenti e reciproca solidarietà.
Detto che i cinghiali sono troppi (le responsabilità?) e che occorre limitarne il numero (solo con la caccia?) il sequestro (legalizzato) dei sentieri alla domenica è un abuso. Se controllare il numero dei cinghiali è una necessità, allora è un “lavoro” da fare in giorno feriale, con tutte le norme di sicurezza, in primis interdicendo l’accesso ai sentieri: i cartelli che avvisano delle battute in corso sono di una ipocrisia irritante.
Domanda a Regione e Province: perché non provate a fare una “cosa di sinistra” dando ascolto al silenzioso ma numeroso, e variegato per sesso ed età, popolo dei camminatori, piuttosto che alla lobby dei cacciatori e dei commercianti di articoli di caccia?
(Paola Pierantoni)