Scajola, i ministri padani e l’aplomb istituzionale
Un dato di fatto bisogna pur riconoscerglielo a questi signori, si fa per dire, che stanno ancora al governo: non smettono di stupire; e non solo per i recenti giochini sulle tasse o sulla giustizia, quanto per la continua violazione delle elementari norme di convivenza che distinguono una comunità civile da una tribù afghana. Che cosa ci si aspetta, ad esempio, da un ministro dello Stato che parla in una città come Sanremo dove il sindaco e un assessore del suo partito sono attualmente sotto inchiesta da parte della Procura? Ci si aspetterebbe prudenza, rispetto, toni sfumati verso l’attività giudiziaria.
Invece no: Claudio Scajola attacca a testa bassa, rimprovera ai magistrati un eccesso di zelo investigativo, addirittura di fare troppe intercettazioni, così da spendere 3 miliardi di vecchie lire all’anno, 13 volte di più della stessa voce di spesa di Genova. Come mai? La risposta viene dalle parole dello scomparso patron della Dc ligure Taviani (di cui Scajola si proclama discepolo), quando soleva ripetere che “la nostra regione non è terra di scandali, almeno fino al confine con Imperia”. Alludeva al fatto che a Sanremo e dintorni fin dagli anni Sessanta l’intrallazzo regnava sovrano tra Comune e Casinò. Se però, dopo 40 anni di malgoverno, la Procura vuol metterci il naso o l’orecchio…
Un altro incredibile exploit di responsabilità istituzionale viene dal ministro leghista Calderoli, spalleggiato dal ministro della giustizia (?) Castelli, con la proposta di mettere una taglia per catturare “vivi o morti” gli assassini del benzinaio di Chiuso di Lecco. La miglior risposta è venuta dalla famiglia della vittima, Giuseppe Maver: “Evitate di speculare sul nostro dolore. Noi non vogliamo il Far West”. Sarà così vero il detto che ciascun paese ha i politici che si merita? Forse abbiamo diritto a qualcosa di meglio.
(Camillo Arcuri)