Ex libris – La ricetta di Kapu: curiosità, amore e rispetto
Il prezzo quasi proibitivo (55 euro) e la veste tipografica (i prestigiosi Meridiani Mondadori) non ne consentono certo una agevole lettura sotto l’ombrellone. Eppure la tentazione di consigliare il volume delle Opere del grande reporter polacco Ryszard Kapuscinski (1932-2007) è forte. L’inquieto Kapuscinski iniziò al principio degli anni Sessanta a raccontare “l’altro” rispetto alla pacificata e sazia Europa, vale a dire l’Africa delle guerre di liberazione anticoloniali: Ghana, Congo, Mozambico, Algeria, Angola («l’Africa era un enigma, un mistero, nessuno sapeva che cosa sarebbe successo quando trecento milioni di individui avrebbero alzato la schiena e chiesto il diritto di parola»); le guerre dei poveri in America Latina, e poi l’Etiopia di Hailé Selassié I, l’ultimo Negus (il libro che rivelò il suo straordinario talento), l’Iran di Khomeini ma anche il declino e la caduta dell’Unione sovietica descritta nelle suggestive pagine di Imperium.
In ogni libro si avverte l’urgenza di testimoniare eventi capitali come la decolonizzazione, le rivoluzioni (ne seguì ben ventisette) e di capire le persone che aveva di fronte (i suoi modelli furono da una parte il new journalism americano e dall’altra lo storico greco Erodoto). L’unico modo per farlo era quello di mischiarsi alla folla quando ascolta i discorsi del leader ghanese Kwame Nkrumah, viaggiare insieme ai guerriglieri angolani (si veda il bellissimo Ancora un giorno, non compreso nel Meridano), aggirarsi nei mercati messicani.
Atteggiamenti, i suoi, privi di indulgenza verso l’esotismo, e di compiacimento per il terzomondismo (che invece infatuò molti intellettuali occidentali coevi).
“Kapu” ha rischiato molte volte la vita ed era anche consapevole dei limiti del proprio mestiere: «il volto della guerra non è comunicabile. Né con la penna, né a voce, né con la macchina da presa. La guerra è una realtà solo per chi sta conficcato tra le sue sporche, disgustose e sanguinolente interiora. Per gli altri è solo una pagina di libro, un’immagine sullo schermo». Ma – come ha detto bene Goffredo Fofi – non basta essere curiosi per diventare un buon giornalista. E’ necessario anche «l’amore per il prossimo, il rispetto per le persone di cui si scrive ». E’ questo – oltre a una innata vocazione di narratore – che ha fatto di Kapuscinski uno straordinario testimone del Novecento; è questa la lezione che noi dobbiamo cogliere.
Nota. Ryszard Kapuscinski, Opere, a cura di Silvano De Fanti, traduzione di Vera Verdiani, Milano, Mondadori, 2009; Id., La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Milano, Feltrinelli, 2002 (da cui ho tratto la prima citazione, p. 16); Id., In viaggio con Erodoto, ivi, 2005; Id.; Ancora un giorno, ivi, 2007 (da cui ho tratto la seconda citazione, p. 97).
(Marco Bellonotto)