Economia – Fiat: il governo fuori dalla porta

L’acquisizione da parte della nostra FIAT di un quota rilevante, destinata a diventare maggioritaria, dell’ americana Chrysler (terzo gruppo automobilistico USA dopo GM e Ford) è stata definita a giusto titolo un evento storico non solo per la casa torinese ma per tutta l’industria italiana, che si vede riconosciuto un ruolo di eccellenza in un contesto economico che ancora oggi rappresenta la maggiore potenza industriale del pianeta. Non è chi non veda la straordinaria importanza che questo risultato riveste per il nostro paese, per la nostra economia, per i nostri prodotti all’estero e per il prestigio che, forse immeritatamente, ne viene all’intero sistema Italia.


Ma è davvero strano che a questa vicenda, dall’inizio fino alla sua positiva conclusione, il governo italiano sia rimasto completamente estraneo. Non una sola manifestazione di interesse si è potuta cogliere, nei lunghi mesi della difficilissima trattativa, nei discorsi del presidente del consiglio, dei ministri Tremonti o da Scajola o di altri, al contrario così loquaci ogni volta che l’attuale governo possa, sia pur pretestuosamente, accampare qualche merito. Meno che mai (può ben dirsi, per fortuna) il governo italiano sembra sia stato in grado di svolgere un qualsiasi ruolo, anche solo di sostegno alla trattativa attraverso i canali diplomatici, come è prassi normale presso tutti i paesi in casi del genere. Solo a cose fatte Berlusconi si è spinto a dichiarare che l’accordo sta a testimoniare “le forti relazioni fra Italia e Stati Uniti”.     
L’atteggiamento distaccato del governo italiano appare tanto più eclatante (ed è davvero strano che non abbia ricevuto alcuna attenzione da parte dei nostri mezzi di informazione e  che non sia stato nemmeno rilevato negli stessi ambienti politici) se lo si pone a confronto con il marcato interessamento del governo statunitense e con l’impegno anche personale profuso dal presidente Obama per il raggiungimento dell’accordo fra le varie parti interessate. La vicenda propone quindi interrogativi non da poco e giustifica ampie perplessità dando spazio a varie illazioni.
Ma forse una spiegazione ragionevole può venire dall’episodio riferito da Massimo Giannini nel suo articolo “La strada da Torino a Detroit” su “La Repubblica” di oggi nel ricordare i tempi bui del Lingotto (era il 2002): “Sembra passato un millennio da quella nera domenica di ottobre, quando la dolente carovana di Lancia Thesis con dentro i manager di Torino capitanati da un disorientato Paolo Fresco e da uno sconfortato Galateri imboccavano il viale alberato della villa di Arcore e si presentavano col cappello in mano a Silvio Berlusconi a chiedere il salvataggio del governo. Il Cavaliere li accolse con lo stesso infastidito sussiego del notabile che riceve i suoi portaborse. Li maltrattò, gli promise aiuti solo a patto che l’intero vertice si facesse da parte. Perché – disse – ‘ho io un po’ di idee per rilanciare la FIAT’.” Conclude Giannini: “Il successo del Lingotto in terra americana oggi sana quella ferita … e risarcisce la più importante azienda privata italiana di quella insopportabile umiliazione”. Ben può comprendersi quindi che il vertice FIAT, felicemente rinnovato sotto la guida di Marchionne ma non dimentico di quella insolente e irresponsabile presa di posizione dell’attuale (e in allora) capo del governo, abbia con dignità deciso di tenerlo fuori dalla straordinaria operazione imprenditoriale felicemente realizzata a vantaggio della nostra industria e del Paese intero.
(Ugo Genesio)