Scandali – Se i lavoratori si decidessero a parlare
La foto è comparsa su tutti i principali quotidiani l’undici marzo scorso. Sullo sfondo l’ingresso imponente con relativa cancellata con sopra la scritta “Istituto Papa Giovanni XXIII” e davanti a loro, i lavoratori, anzi le lavoratrici, una prima fila di donne, una quindicina, piuttosto giovani tra cui spicca la chioma canuta dell’unico maschio (il “sindacalista”?). Sui cartelli, se ne intravedono sei sorretti da altrettante lavoratrici, si leggono frasi come “POLITICA+CHIESA IN CALABRIA = MAFIA”, “CHIESA ABBIAMO SMESSO DI ESSERE CREDENTI”, “QUELLO CHE NON RIESCE A DARCI LO STATO CE LO PRENDEREMO”, e altre di contenuto forte, coraggioso che unito alle espressioni decise delle donne che li reggono fanno pensare che a Serra d’Aiello (prov. di Cosenza) stiano facendo sul serio. Così almeno hanno deciso dopo le indagini aperte nel 2006 dalla Procura di Paola sull’Istituto papa Giovanni XXIII, una fondazione religiosa ospizio per disabili e anziani. La svolta nel luglio del 2007 con l’arresto del suo presidente, un sacerdote che nel marzo 2009 è stato rinviato a giudizio per frode e truffa. L’accusa – non la sola visto che altre più inquietanti gravano sulla faccenda – è di aver sottratto 13 milioni di euro alla gestione dell’Istituto e di aver omesso di pagare 15 milioni di euro di contributi alla maggior parte dei 1860 dipendenti dello stesso.
I quali dipendenti, resisi conto che le promesse e le mezze parole con cui erano stati abbindolati per anni non avrebbero evitato la banca rotta sono passati al contrattacco, anzi all’attacco denunciando “politica” e “chiesa”, la politica che sicuramente gli ha indicato i canali per essere assunti e la chiesa che li ha truffati. Oggi protestano, giustamente, in difesa dei loro sacrosanti diritti. E’ uno scandalo, dicono, ai giornalisti che li intervistano e li fotografano coi cartelli di fronte all’Istituto.
E’ vero; è uno scandalo. Ma è ancora nulla in confronto delle violenze e delle oscenità che si sono consumate per anni, sino ad oggi, nel Giovanni XXIII. Dodici persone scomparse – sì, scomparse nel nulla – quindici sospetti omicidi, almeno un centinaio di lesioni gravi (anche irreversibili), abbandoni di incapace e altre mostruosità che giustificano le parole “casa degli orrori” e “lager” usate dalla cronaca per illustrare il caso.
Uno scandalo di cui in paese, Serra d’Aiello, tutti sapevano. Pratiche delinquenziali che erano note alla maggior parte dei dipendenti dell’Istituto che solo la svolta delle indagini e la necessità di mettersi in lista per recuperare quanto per anni non gli era stato versato ha convinto ad uscire allo scoperto.
Si dirà che il loro è un caso estremo; è vero. Ma è necessario aspettare situazioni estreme perché la coscienza o anche solo il portafoglio abbiano un rigurgito? Il nostro paese, e le recenti vicende genovesi (porto, amianto, edilizia e tutto il resto) hanno bisogno che i lavoratori parlino. Che si sciolgano dalle complicità aziendali, politiche, sindacali, di clan e dal ricatto da cui quotidianamente vengono avvolti per tornare ad essere cittadini. La politica ha bisogno delle loro parole.
(Manlio Calegari)