Istruzione – A scuola come sul Piave

Ho deciso di passare Natale nella trincea. Non quella della memoria di cui parla la bella mostra alla Borsa di via XX Settembre, ma in quella che mi appartiene e mi rappresenta: la mia scuola.
Devo dire che fisicamente non è molto diversa da una trincea classica. Ci sono un sacco di spifferi e di freddo, colpa del riscaldamento che durante la mattinata si abbassa sino a spegnersi nel pomeriggio (eh! queste vecchie stufe le spengono per risparmiare!) e colpa dei grandi finestroni da ex ospedale che sono vecchi di cinquant’anni e chiudono male (ma dai che alla truppa un po’ di freddo gli fa bene! li sveglia!). I vetri sono sporchi ma lo considero un pregio, visto che le tende sono tutte strappate: nella bella stagione entra un sole così forte che fa male agli occhi e devi spostarti tutto il tempo per evitare la cottura delle poche sinapsi rimaste.


Il tavolino sui cui scriviamo quello che accade nel registro giornaliero è desueto e instabile. E soprattutto ha i cassetti chiusi o rotti. Chiunque ne avesse avuto le chiavi, con il cambio della guardia, ha ben pensato di portarle via (“maledetten manutenzionen che non arriva”, direbbero le Sturm truppen del compianto Bonvi). L’armadio, al contrario, non sta chiuso perché è senza serratura.
Le latrine sono essenziali: una per gli ufficiali che sono quasi di cinquanta.
Wow! che bella sensazione sedersi sulla tazza ancora tiepida delle terga altrui. Come sui treni gli asciugamani sono di carta, protetti da un marchingegno che ne libera un pezzo alla volta: spesso sono strappati o bagnati.
Il rancio, dopo gli “ultimi scandali” sui rifornimenti alle mense, è divenuto ulteriormente parsimonioso: pasta al burro, riso con olio, sofficini (di nome perché sono duri come i sassi): chissà perché, dopo mangiato, mi viene voglia di correre nella ritirata. Che abbia lo stomaco delicato?
Comunque non mi lamento; voglio dire: accetto l’ordine e il disordine della trincea.
Quello che fa male davvero è il morale dell’esercito. L’altro giorno ho chiesto di raccontarmi quello che vedevano dalla loro finestra. Ho dovuto farli smettere. Sarà che siamo vicini al fiume, sarà che la speculazione ha partorito mostri su mostri ma questi giovanotti proprio non sanno cos’è la vita. Da casa mia non vedo niente…vedo solo tetti e antenne…vedo il cavedio del palazzone… vedo lo sporco di un pezzo di fiume…vedo topi che corrono…vedo uno spicchio triste di cielo…vedo piccioni che banchettano da un sacco della spazzatura…
Con sollievo penso che non sono ancora degli adulti e non sanno che noi ufficiali siamo spremuti tra la “patria”, il potere centrale che ci disprezza e l’autorità locale che impietosamente ci sacrifica in nome dell’efficienza. Spero non lo imparino mai.
Solo che adesso non so più qual è il nemico e cosa devo dire. Se alzare la bandiera bianca o spingere cinicamente i miei uomini al massacro. Ma ripenso alla frase di quel giudice di Milano di un po’ di tempo fa, “resistere, resistere, resistere”…come sul Piave, come a scuola.
(Elio Rosati)