Precari – La scelta di Giulio
Giulio fissava le rotaie dei treni. Due fettucce lucide di pioggia e polite, nel buio chiazzato di luce della Stazione Brignole. Le seguiva con lo sguardo fino a che entravano nella galleria e scomparivano in un’oscurità impenetrabile, se non con l’udito. Poteva sentire sferragliare i treni anche quando ormai non li vedeva più, inghiottiti dalla fretta di arrivare alla meta. Lui non aveva fretta. Aveva poco con sé, un bouzouki ed un’armonica a bocca, una borsa con qualche vestito e niente più. Non sapeva ancora se alla fine sarebbe partito, o se stava lì soltanto per farsi cullare dai lamenti ferruginosi dei treni.
“Il progetto per cui ti avevamo assunto non ha reso quanto speravamo, ci troviamo in condizione di doverlo eliminare. Non sai quanto mi spiace ma sei licenziato”. Giulio fissava le labbra del capoufficio mentre le parole ne uscivano, untuose, e gli si appiccicavano addosso. Il progetto, kaput, finito, e-li-mi-nato. Tagliato via come un ramo secco su una quercia di ottima salute. Superfluo. Su quel ramo stava lui, unica vittima. Il resto della pianta, vitale e prospera, ridistribuiva linfa e rimaneva in piedi. “Ho 54 anni. Cinquantaquattro…Cosa faccio ora?”. Erano 18 anni che lavorava lì, prima della crisi era alla linea principale, come commerciale. Ai primi segnali di recessione era stato spostato ad un nuovo settore, un progetto pilota. Col senno tardivo, gli sembrava che tutto fosse pilotato dall’azienda, un modo sicuro per scrollarselo di dosso senza ripercussioni.
La prima persona a cui aveva pensato, dopo il licenziamento, era stata sua figlia. Sette anni, caparbia, rumorosa, vivace, lo faceva sentire un ragazzino. Le doveva garantire la sicurezza, la gioia, la serenità, era il motivo per cui ogni giorno si alzava dal letto ed andava a lavorare. Ma domani? Niente lavoro, niente stipendio, sicurezza o serenità. E’ un padre questo? Al pensarlo si sentiva diventare più piccolo, gracile e indifeso, inerme come un bambino, anzi no, come un vecchio.
Quando era tornato a casa non c’era ancora nessuno. Aveva messo in una borsa poche cose, ed era corso in stazione. Andarsene, Parigi, Nizza, magari Madrid. Suonare, quello lo sapeva fare ce l’aveva nel sangue, non c’era il pericolo di scivolare un’altra volta dal ramo. Lasciare i suoi doveri di padre e marito, di capofamiglia, lasciarsi alle spalle l’angoscia di raccontare la propria sconfitta. Una vita nuova lo aspettava, musica e strada, forse troppo dura per la sua età, ma leggera ed attraente in confronto alla cappa plumbea di responsabilità che si trovava di fronte. “Il treno 11300 delle ore 21.12 per Ventimiglia è in partenza al binario 2. Si prega di non oltrepassare la linea gialla”.
L’asfalto bagnato rifletteva le luci natalizie come allegri fantasmi distorti, sul marciapiede della fermata. Giulio gettò la sigaretta in una pozzanghera prima di salire sul bus. Un salto in sala prove e poi, a casa. L’indomani lo aspettava una giornata piena. Doveva iniziare a cercare un lavoro.
(Daphne)