Fondazione Carige. Se quattro presidenze vi sembran poche
L’immagine dolente del nuovo martire cristiano, Rocco Bottiglione, immolatosi nell’arena di Bruxelles piuttosto che rinunciare al suo credo, non ai suoi pregiudizi, ha insinuato perfino nella platea de “L’infedele” (imbarazzante il confidenziale duetto, “amico Rocco”, “Gad”) l’ombra minacciosa di un’inverosimile persecuzione anti-cattolica da parte del laicismo imperante in questa “Europa senz’anima”.
Ora, cambiar le carte in tavola fa parte degli artifizi politici; ma c’è un limite: non si può far finta che non ci sia stato mezzo secolo di strapotere democristiano in Italia e che gli uomini della Compagnia delle opere o dell’Opus Dei non tengano tuttora in pugno comitati d’affari e centri del sottogoverno economico-finanziario nel nostro Paese. Altro che perseguitati.
Eloquente al riguardo è la crisi scoppiata d’improvviso alla Fondazione Carige di Genova, l’ente che gestisce con fini socio-culturali i cospicui utili della Cassa di risparmio, la cassaforte della città. Quattro componenti del consiglio d’indirizzo (don Antonio Balletto, Micaela Costa, Edgardo Loewy e Giuseppe Novaresi, cui si è aggiunto Victor Uckmar) si sono dimessi dai loro incarichi per protesta contro il tipo di gestione imposto dal presidente Vincenzo Lorenzelli, una sorta di figura insindacabile: affiliato all’Opus Dei, forte di uno Scajola (fratello del ministro) numero 2 della Cassa e non sgradito neppure alla sinistra. Stavolta però si è trovato pubblicamente contro anche il sindaco Pericu e il presidente della Provincia Repetto.
A far saltare il coperchio è stato l’azzeramento di alcuni progetti sociali avanzati della Commissione d’indirizzo: un finanziamento per rendere abitabili un centinaio di appartamenti e cederli in comodato a famiglie in difficoltà, un contributo per dare concretezza all’assistenza domiciliare per gli anziani, infine un sostegno per mettere al lavoro un centinaio di giovani in botteghe artigiane dove imparare un mestiere. Ma c’è anche altro evidentemente.
Da esperto navigatore qual è, Lorenzelli ha cercato subito di ricucire lo strappo con i poteri locali muovendosi all’insegna della morbidezza; salvo minacciare tuoni e fulmini contro chi, dimettendosi, si è permesso di inviare “un documento assolutamente riservato all’esclusiva attenzione dell’autorità di vigilanza” (ministero dell’economia). Il motivo di tanta irritazione si spiega: il contenuto, non proprio segreto, del ricorso solleva quanto meno un dubbio sulla legittimità del cumulo di cariche alla base del superpotere di Lorenzelli nella Fondazione. Al momento egli somma ben quattro presidenze: primo, è a capo del Consiglio d’amministrazione, secondo della Commissione d’indirizzo, terzo della Commissione strumentale per la cultura e quarto della Commissione strumentale per le opere sociali. Non viene da pensare a un feudo personale?
(Camillo Arcuri)