Partecipazione – Débat public a la génoise

“L’11 dicembre la prova di democrazia diretta per scegliere il progetto” (Secolo XIX, 2 dicembre 2008). Si parla dell’inizio di uno esperimento di democrazia partecipata, della preparazione di un débat public a la française decisa dal Comune di Genova. Tema, la gronda (ovvero bretella, passante) di Ponente che dovrà sciogliere il nodo della confluenza su Genova di quattro autostrade: A7 (verso Milano), A10 (Ventimiglia), A12 (Livorno) e A26 (Voltri-Alessandria). Insieme generano “i peggiori problemi di traffico autostradale d’Italia”. La gronda è un’opera di cui si parla e discute dagli anni ’80 mentre le ipotesi di soluzioni (e di tracciati alternativi) si moltiplicano. Uniscono il Ponente con il Levante e nominalmente sono tre: bassa (all’altezza del nodo di Genova Ovest), media (Bolzaneto) e alta (Busalla), ma ciascuna ha v arianti più o meno significative: un tunnel per l’attraversamento del Polcevera oppure un ponte che sostituisca il Morandi o che lo raddoppi affiancandolo a nord o a sud. Nel 2003 si contavano ben cinque soluzioni caldeggiate da diversi aggregazioni di soggetti istituzionali e di imprese (Comune, Autorità Portuale, Provincia, Regione, Autostrade, Anas). Alle quali occorre aggiungere altre soluzioni proposte, dai vari comitati che esigono di essere coinvolti nelle scelte che direttamente li riguarda, dalle persone che sotto il ponte già ci vivono, dalle persone che dovranno lasciare le loro case compresa quindi anche la cosiddetta “opzione zero” (ovvero “non si faccia nulla”).


Ricomporre opinioni e interessi è un’impresa che dopo tanto tempo e tanti progetti sembra impossibile. Ecco quindi spuntare la proposta del sindaco Marta Vincenzi di “dibattito pubblico alla francese” approvata dal Consiglio comunale del 14 ottobre per arrivare all’identificazione del tracciato migliore per la gronda. Tempi stretti. Il Comune nominerà una commissione di saggi con il compito di esaminare la documentazione riguardanti i diversi tracciati fornita dal costruttore, organizzare tre mesi di dibattito pubblico e, infine, redigere una relazione conclusiva. Il consiglio comunale darà l’ultimo parere. “Finalmente parleremo di questioni concrete, di tracciati e di costi – ha detto la Vincenzi – da venti anni non si fanno che parole […] abbiamo pagato e paghiamo, l’assenza di modelli per discutere di scelte che coinvolgono i cittadini molto da vicino”. Indiscutibile, se non fosse che la maggior parte dei protagonisti responsabili di tali fiumi di parole sono gli stess i che concorreranno al débat.
Resta capire di cosa esattamente si potrà discutere. Per Pierfranco Pellizzetti c’è il rischio che il débat public sia “solo un modo per teatralizzare la democrazia”: soprattutto è chiaro che un tale débat dovrebbe partire (come invece succede in Francia) «a monte delle decisioni, cioè nelle fasi in cui si scelgono le linee-guida e gli obbiettivi strategici per traguardare i tecnici; non a valle quando la discussione si riduce a una sorte di “prendere o lasciare”» (Secolo XIX, 27 novembre). Perplessità confermate dalle dichiarazioni dell’assessore Andrea Ranieri, incaricato di varare l’iniziativa, che ha detto: “Il débat public non riguarda l’intero tracciato ma solo quello che scavalca il Polcevera” (Secolo XIX, 26 novembre). Un débat public a la génoise?
(Oscar Itzcovich)