Bolzaneto – Le regole della democrazia e quelle del rugby

Massimo Calandri, autore di “Bolzaneto. La mattanza della democrazia”(prefazione di G. D’Avanzo, Derive Approdi, Roma 2008, pp. 252, euro 15,00) è nato nel 1963. Da ragazzo sognava di fare il giornalista e ha cominciato a scrivere su Il Lavoro sin dal 1981 quando di anni ne aveva soltanto 18. Nel ’92 è stato assunto da la Repubblica dove, per le pagine genovesi, ha scritto e scrive di cronaca nera e giudiziaria. Un osservatorio privilegiato per una realtà che cambia rapidamente. Non c’è bisogno di scomodare Marx per sapere che la cronaca giudiziaria è la rappresentazione più efficace di una società. Se si cerca di scavare alla ricerca dei suoi riferimenti o dei suoi modelli, Calandri risponde sorridendo che per lui è stato importante il rugby, uno sport che ha praticato a lungo, a proposito del quale scrive su riviste specializzate, e che, nel tempo libero, ancora insegna ai bambini del Cus Genova, il club dove in passato giocava. Il rug by? Ma cosa c’entra con le storie del G8 e di Bolzaneto su cui ha scritto il libro o con la Diaz a cui ha dedicato su Repubblica tante delle sue cronache?
C’entra ma tocca al lettore scoprirlo.


“Bolzaneto” comincia dalla fine, dalla sera del 14 luglio 2008, quando nell’aula bunker viene data lettura della sentenza a proposito dei sequestri e delle torture avvenute nella caserma carcere di Bolzaneto tra venerdì 20 e lunedì 23 luglio 2001. Tre giorni in cui tutto è incerto o quasi: dal numero dei reclusi – più di 250 ma quanti di più? – ai presenti addetti alla loro mortificazione, ai ruoli di costoro: dirigenti, collaboratori, esecutori. Tre giorni che per essere ricostruiti hanno richiesto 7 anni di inchiesta di cui 4 spesi per 200 udienze. Perché un tempo così lungo? Perché quei tre giorni non erano frutto del caso, un “incidente” prodotto e aggravato dai fatti terribili che avevano segnato il G8. Al contrario: quei tre giorni, quando la caserma di Bolzaneto diventa un “non luogo”, un’area “posta fuori dell’ordinamento giuridico, al di fuori delle regole del diritto penale e del diritto carcerario”, erano stati preventivati proprio così; con menzogne e malizie messe in opera molto tempo prima dei fatti.
Calandri le individua una per una, da quelle più esplicite a quelle che paiono frutto di balordaggine ma che con le altre giocano a produrre uno stesso risultato: una zona franca dove mortificare, terrorizzare, torturare. Non conta se poi l’impianto accusatorio costruito contro i detenuti per giustificarne la detenzione crollerà nella maggior parte dei casi; del resto non era quello il suo scopo.
Calandri racconta i sette anni durante i quali, contro l’ostinazione delle parti civili e la pervicacia dei magistrati, si è alzato il muro quasi impenetrabile delle forze di polizia, della penitenziaria, dei carabinieri, gregari e superiori: lo stato o almeno una sua parte.
E il rugby? E’ uno sport duro, anche violento ma dove alla fine vincitori e sconfitti si stringono la mano. E’ il momento della verità, un modo per dichiarare la fedeltà alle regole. Necessario se si vuole continuare a giocare insieme.
Per favore leggetelo e troviamo luoghi dove parlarne.
(Manlio Calegari)