Ilva/2 – Lo sfondo lontano della diossina di Taranto

Nella tarda serata di giovedì 6 novembre, alla trasmissione “Parla con me”, Giuseppe Serravezza, oncologo, traccia il quadro delle responsabilità dei Riva sulle disastrose condizioni ambientali e sanitarie nella città di Taranto, dove l’Ilva non produce solo una gran quantità di acciaio, ma anche il 92% della diossina italiana e l’8,8 % di quella europea, tanto che la presenza di diossina in quel territorio è ormai tripla rispetto a quella che si determinò a seguito del disastro ambientale di Seveso.
In dieci anni, viene detto, i tumori in Puglia sono aumentati del 30 per cento. Linfomi, leucemie, tumori a vescica e polmoni, tutti direttamente riconducibili a cause ambientali. In prima linea la diossina sprigionata dall’ Ilva che il vento disperde nell’ aria.


L’Ilva, beninteso, rientra negli attuali limiti di legge.
Solo che i limiti di emissione che vigono in Italia sono di molto superiori a quelli europei, che furono fissati in base ai criteri contenuti nel “protocollo di Aarhus”, approvato dal consiglio dell’UE nel 2004 e recepito da 16 paesi dell’Unione ma non dall’Italia.
Una sproporzione che permette ai Riva di affermare «Siamo in regola e abbiamo anche investito 450 milioni di euro per migliorare gli impianti», e alle associazioni ambientaliste di osservare che il limite italiano è «un vestito su misura per l’Ilva di Emilio Riva»
Il presidente della Regione Puglia nel settembre del 2007 aveva sollecitato l’allora ministro Ministro Pecoraro Scanio a risolvere questo “groviglio legislativo” e a giungere ad “una rapida definizione dei nuovi livelli autorizzativi a livello di Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale)”. Il rilancio industriale del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, osserva Vendola, deve infatti passare attraverso un ammodernamento tecnologico e un radicale abbattimento delle emissioni inquinanti.
Ma il ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo rade al suolo la Commissione Aia, e ne estromette tutti i suoi 21 membri, adducendo a motivo la loro presunta “scarsa produttività”.
La mossa successiva è della Regione Puglia, che pochi giorni fa, l’11 di novembre, approva un disegno di legge che riduce il tetto per le emissioni di diossina, adottando gli standard europei.
Il ministro Prestigiacomo si dichiara ”esterefatta” dall’iniziativa della giunta pugliese e afferma che, se approvato, il disegno di legge della Puglia “implicherebbe la chiusura dello stabilimento entro 4 mesi”.
In risposta l’assessore all’Ambiente della Puglia, Michele Losappio, sottolinea lo ”zelo confindustriale” del ministro che reagisce “come se fosse il proprietario dell’Ilva”.
Va bene, ma tutto questo riguarda Taranto, che c’entra Genova, dove l’unica concentrazione che aumenta è quella dei cassintegrati? Che c’entra Genova col fatto che dal 1993 al 2007 gli incidenti mortali all’Ilva di Taranto sono stati 41, quarantun morti in una stessa fabbrica, con una media di 2,7 morti all’anno, salita a 3,5 nell’ultimo biennio? Ora che l’altoforno è chiuso, i gasometri abbattuti, e gli infortuni diminuiti (beh, vorrei vedere…) il dramma che continua a svolgersi qualche centinaio di chilometri più a Sud da Genova appare appena uno sfondo sbiadito.
(Paola Pierantoni)