Razzismo – “Non chiamarmi zingaro” nemmeno nella rete
Gruppi razzisti anche su Facebook, uno fra i più importanti social network del momento. E’ la denuncia del Partito Socialista Europeo, che indica ben sette gruppi inneggianti all’odio razziale. Va sottolineato che tutti sono stati creati in Italia. Il 17 novembre scorso, la notizia che Facebook ha provveduto a espellerli. I nomi? Eccoli: “Odio gli zingari” (7383 membri), “Diamo un lavoro agli zingari: collaudatori di camere a gas” (681 membri), “Odio gli zingari al semaforo” (2813 membri), “Basta zingari a Vicenza” (1692 membri), “Rendiamo utili gli zingari…trasformiamoli in benzina verde!” (312 membri), “Quelli che disprezzano gli zingari” (228 membri), “Sbattiamo fuori dal nostro paese tutti questi rom, zingari!!!!!” (187 membri) (peace reporter).
Giovedì 13 novembre vado alla presentazione, nella Sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, di “Non chiamarmi zingaro”, ed. Chiarelettere, del regista ed attore Pino Petruzzelli, libro frutto di cinque anni di ricerca e di viaggi e frequentazioni nei campi nomadi genovesi, italiani e romeni. Una raccolta di storie, esperienze di vita quotidiana, di conoscenze e piccoli avvenimenti raccontati attraverso l’occhio ironico e curioso dell’autore che concede l’opportunità di conoscere singole persone andando al di là dell’appartenenza di gruppo. Verrebbe automatico cedere al vizio (vedi Ricolfi, “Perché siamo antipatici”) di sentirsi quasi parte di una società più colta e attenta al mondo in cui viviamo, contrapposta ad una becera, ignorante e razzista. Ci pensano due interventi in particolare a riportarmi in linea: il primo è quello di Luca Borzani, presidente della Fondazione della Cultura di Genova, che punta il dito contro una particolare opposizione: nell’attuale epo ca caratterizzata dall’individualismo continuiamo a considerare gli altri come gruppo e non come singoli. Dal gruppo allo stereotipo del gruppo, dallo stereotipo al pregiudizio verso il singolo il percorso è semplice, ed attuato attraverso una modificazione della sensibilità collettiva che sta coinvolgendo tutti noi, e che ci ha visto accettare quasi passivamente proposte chiaramente razziste, quali quella di prendere le impronte digitali ai bambini rom, o più recentemente quella di schedare i senza dimora o ancora di far pagare le prestazioni sanitarie agli immigrati. Chi è sceso in piazza a manifestare la propria contrarietà? La seconda considerazione parte da un racconto dello stesso Petruzzelli, che ricorda come nel paese di Opera, vicino a Milano, trecento persone fossero riuscite a organizzare e mantenere un presidio per tre mesi davanti al temporaneo campo rom allestito dalla protezione civile, con un punto di ristoro non autorizzato su cui troneggiava la scritta “Rom-pi bar”. Smontato il campo, tolto il presidio venne trovata una lettera di un giovane manifestante (la potete trovare integralmente nel libro) che ringraziava dell’esperienza che aveva unito più generazioni, creato amicizie e legami, formato rapporti che sarebbero durati ancora se il presidio avesse avuto l’opportunità di continuare a esistere.
Forse, suggerisce Petruzzelli, quello di cui abbiamo veramente bisogno è di rimpossessarci delle nostre città e delle nostre strade, di liberarci dalla paura dalla “insicurezza” della criminalità, di spegnere le televisioni e uscire di casa.
(Maria Cecilia Averame)