G8 – Un sogno: se un giorno a De Ferrari…

Stanotte ho fatto un sogno (anch’io, a volte). Eravamo a De Ferrari, tantissimi, silenziosi. Taceva anche l’acqua della vasca. Davanti all’ingresso del Ducale un palco, non troppo alto, con sopra una ventina di persone. Riconoscevo la sindaco, il presidente della regione, quello della provincia, qualche parlamentare di oggi e di ieri, Pinotti, Tullo, Dalla Chiesa, Musso, Rognoni e altri. Erano seri, afflitti. Parlava la sindaco e a momenti si girava verso l’uno o l’altro dei suoi vicini che davano segni di assenso, compunti. Il pubblico, noi, in silenzio e attento.


“Siamo qui per chiedere scusa – diceva la sindaco – a voi ma anche alla popolazione della regione e a quella di tutto il nostro paese. Scelti per governare – maggioranza o opposizione, non fa differenza – non abbiamo capito che ciò che è seguito ai fatti del G8 non toccava solo le responsabilità di questo o quel manifestante e di questo o quel funzionario di polizia. Abbiamo osservato la promozione di tutti i dirigenti preposti in quei giorni all’ordine pubblico senza capire che questo diventava il muro di difesa dietro al quale tutti i loro collaboratori si sarebbero nascosti impedendo la ricerca della verità. Abbiamo ignorato gli appelli di coloro che cercavano di metterci sull’avviso. Abbiamo tenuto lontano occhi e orecchie dalle aule dei tribunali: luoghi dove faticosamente si è cercato la verità – quella giudiziaria perché a quella politica avevamo già rinunciato.
Abbiamo fatto male: non avremmo certo influenzato le giurie mentre avremmo colto il clima di abbandono in cui si svolgevano i processi, la scarsa presenza del pubblico come quella della stampa e di riflesso l’eco sui quotidiani. E avremmo provato imbarazzo scoprendo che solo alle parole delle vittime e dei loro avvocati veniva affidato il ricordo di fatti che noi stessi avevamo a suo tempo definito gravissimi.
E avremmo provato rabbia – sì rabbia – di fronte all’evidente sabotaggio delle forze di polizia -non gli imputati che ad esse appartengono- nello svolgimento delle indagini. Avremmo provato addirittura vergogna quando si è detto che un poliziotto filmato mentre in borghese manganellava gli ospiti della Diaz, era stato riconosciuto in aula solo a 7 anni di distanza dai fatti perché i suoi colleghi che avevano ricevuto il compito di individuarlo, avevano taciuto.
E avremmo finalmente gridato allo scandalo quando fossimo stati testimoni di quanto è successo durante le ultime udienze del processo contro i poliziotti della Diaz. Non è il loro sacrosanto diritto a difendersi che ci avrebbe ferito, né le ricostruzioni più fantasiose proposte dai loro avvocati per sollevarli dalle loro responsabilità. E’ il disprezzo fino al dileggio mostrato nei confronti dell’accusa e quindi del tribunale. Che vogliono dire che nel nostro paese la polizia non può essere processata neppure quando responsabile di provocazioni e depistaggi conclamati. E guai a chi si provasse a farlo.
Per non aver capito e denunciato tutto questo cari concittadini noi ci scusiamo.”
(Manlio Calegari)