Immigrati – La Questura ama i bambini
La Questura di Genova ama tanto i bambini (immigrati) che li vuole conoscere, di persona, uno per uno, anche se, magari, questa conoscenza comporta qualche disagio (per il bambino). Ma cosa non si farebbe per un caldo contatto umano…
Dunque questa è la storia di Hassna, cittadina marocchina regolarmente residente a Genova da più di cinque anni e quindi in condizione di poter richiedere la “carta di soggiorno” permanente.
Ma c’è un figlio, un bambino di quattro anni che ora vive in Marocco da una zia: la mamma molto presto ha divorziato dal marito, deve lavorare per vivere, e qui ha solo una sorella anche lei divorziata, anche lei costretta ad accettare la lontananza dai figli per poter lavorare.
Così, quando Hassna va in Questura per le pratiche della carta di soggiorno si sente dire che, per ottenerla, è indispensabile che lei porti, fisicamente, il figlio, perché loro lo possano “vedere”.
Ma, tenta di replicare, mio figlio è nato a Genova, all’Ospedale Villa Scassi, ha il suo bel certificato di nascita, è regolarmente iscritto sul mio permesso di soggiorno, io ne ho ottenuto l’affido da parte del Tribunale dei Minori… che senso ha che lo vogliate “vedere”? Per me è un problema tremendo: devo andare e venire dal Marocco due volte, per andarlo a prendere e per riportarlo, ho perso il lavoro il mese scorso e non ho i soldi per questi viaggi, il bambino lì è già inserito a scuola…
Niente da fare. Irremovibili. Così Hassna raccoglie, con prestiti da amici, i soldi per il primo dei due viaggi, e ora il bambino è qui, in attesa di poter tornare in Marocco.
Mentre mi racconta la vicenda col suo ottimo italiano Hassna mi guarda, interrogativa, come a chiedermi come sia possibile che qui le cose funzionino così. Sottolinea che in altri Paesi europei suo figlio avrebbe acquisito la nazionalità del luogo di nascita, e fa i conti di quanto le sta costando tutto ciò in un momento in cui si trova disoccupata: 200 euro per la carta di soggiorno, 600 euro di debiti per il viaggio…
Nel frattempo mi racconta anche di sé: trenta anni, diplomata, il progetto di entrare nelle forze dell’ordine in Marocco reso impossibile da un infortunio.
Poi, nel 2000, una visita alla sorella in procinto di partorire che, insensibilmente, si trasforma in un cambiamento di progetto di vita, da giocarsi qui. Un matrimonio sbagliato le regala un bambino che crescerà lontano, mentre la possibilità di ritornare in Marocco impallidisce. Hassna, tre lingue perfette (arabo, francese e italiano), è a metà tra due mondi: lì il passato e la nostalgia, qui le amicizie, le relazioni, le esperienze di lavoro. La lontananza dal figlio è un dolore immenso, ma averlo qui, da sola, è proprio impossibile.
E poi, aggiunge, lì a scuola può avere una preparazione migliore: in Marocco si imparano contemporaneamente due lingue, perché studiamo da subito su testi in arabo e francese. E dai primissimi anni si aggiunge la terza: inglese o spagnolo.
(Paola Pierantoni)