Festival della scienza – La “verità” secondo Galimberti

“Platone non ha un particolare risentimento nei confronti del corpo. Semplicemente non è un luogo idoneo per pensare un pensiero oggettivo”. E ancora: “Cosa fa un bambino con un pennarello? Scrive, succhia, o lo caccia in un occhio al fratello. Questo genera ansia, in un mondo dove tutto deve essere determinato, che vuol dire terminato in un significato. Per un folle la porta che indichiamo può significare l’accesso all’inferno. Per me è una semplice porta”. “Platone i poeti li mette fuori perché non tengono fede alla determinazione del linguaggio. E con loro i sacerdoti, i retori, i sofisti perché ottengono il consenso su base emotiva”.
Chi ancora crede che i genovesi se ne stiano acquattati a casa senza stimoli doveva essere a Palazzo ducale la sera del 30 ottobre. Il Maggior Consiglio è pieno persone.


Tra il pubblico giovani e vecchi mescolati in giusta misura. Il tempo sfavorevolissimo non ha avuto la meglio sul desiderio di ascoltare Umberto Galimberti. Il titolo dell’incontro: “Oriente, preistoria dell’occidente” è un pretesto, perché in effetti qui si parla di verità. Di una ricerca che ha mosso, sin dalla filosofia greca, l’uomo occidentale. Una verità priva di spirito di contraddizione, scevra dalle sfumature e dalla concretezza del mondo orientale. “L’albero per noi è un albero, in oriente l’idea di albero ne racchiude l’infinità di tipi”.
Galimberti procede pacato e deciso. E arriva a Cartesio, Bacone, Galileo, alle qualità che devono essere quantità: “non più chiare, fresche, dolci acque, ma H2O” e ad una tecnica che pretende il massimo risultato con il minimo utilizzo di mezzi, che guarda all’uomo come ad un essere inadeguato e mira a costruire una macchina che prescinda dagli elementi antropologici. “Del nostro corpo non sappiamo più niente, tranne le sue descrizioni scientifiche: pressione, colesterolo . In ospedale siamo ripartiti a seconda dell’organo malato. E poi pretendiamo un trattamento umano. Che non è scientifico!”
Galimberti accenna ad “uno scenario che non si sarebbe sviluppato se non fosse intervenuto il cristianesimo.”In Eraclito l’uomo è ospite della natura e la morte dei singoli individui è la condizione della vita della natura”. “C’è la misura nei Greci, con l’ammonimento a non vantarsi e a non volere troppo, pena incredibile sciagura. Il cristianesimo dice: dominerai e non morirai e spiega che questa non è la vita vera. Quella viene dopo, con tutta l’apologia del dolore salvifico della quale la messa in scena della morte del papa è ottimo esempio. Socrate muore con eleganza e sobrietà. Dice: vi ho sempre insegnato a seguire le leggi, datemi la cicuta e non paliamone più!”
Galimberti coglie il sottile legame che unisce rivoluzione, cristianesimo e marxismo, un protendersi al futuro, cancellando passato e presente, procrastinando al poi la felicità dell’uomo. Ma individua anche la sconfitta, con la fine dell’ottimismo occidentale, con le categorie che “non fanno più mondo”. “Leggete la Gaia scienza di Nietzsche, dove il folle annuncia la morte di Dio” e aggiunge “anche la psicanalisi ha perso quota: l’uomo non indaga più se stesso”. L’ambito scientifico ha preso il posto della fede religiosa.
Alle letture di Medea e Giasone, davvero bellissime, il pubblico fugge alla spicciolata. Le ultime file si svuotano. Fuori non piove più.
(Giovanna Profumo)