La parità a norma CE
Da sempre mi sono chiesto come mai nel mondo del lavoro esistesse tanto interesse ad affermare la parità tra uomo e donna, al punto che oggi anche un semplice complimento, diciamo “galante”, in ufficio è in odore di denuncia, mentre dall’altra parte nessuno protesta quando all’ingresso delle discoteche la differenza di trattamento economico sia considerata normale e, anzi, sacrosanta.
Torto o ragione che possano avere i buttafuori dal punto di vista puramente sociale e pratico nel caso di rimostranze in tal senso, dal 9 novembre 2007 questa ghettizzazione dei maschi a soggetti paganti rispetto alle donne da far entrare gratis è da considerarsi un reato, anche se davvero mal si adatta al sud dell’Europa.
Il D.Lgs n. 196/2007 che modifica ed estende il D.Lgs 198/2006 applica il concetto di parità tra i sessi all’intera sfera sociale delle persone. Il titolo parla già da solo: “Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura” (sic!). Tre anni per digerirla nel nostro Ordinamento, meglio di altre volte.
L’art. 55 bis, comma 1, definisce il concetto di discriminazione diretta, quando una persona a causa del suo sesso è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una analoga situazione. Insomma in discoteca, codice alla mano, da oggi anche i maschietti potranno entrare gratis o con lo sconto “lei”. Tra l’altro l’onere della prova contraria, ovvero di non aver operato una discriminazione, spetta al convenuto (art. 55-sexies), cioè alla discoteca denunciata. E stop anche alle assicurazioni che volevano applicare una differenza tariffaria anche in base al sesso.
La cosa si fa decisamente interessante pensando di applicare il decreto ai siti web di incontri, dove di solito l’uomo paga e la donna no. Per alcuni siti si parla di fatturati di non meno di 10 o 20 milioni di euro mensili, basati sul concetto molto pratico che un uomo pagante sia per lo meno un po’ filtrato, mentre una donna non pagherebbe mai per iscriversi e farsi rincorrere da un maschio: almeno questa è l’usanza dei paesi latini. Però la cultura, che in questo caso è decisamente sfavorevole ai maschi, cozza contro il diritto comunitario. Due anni fa posi il problema ad un sito di Roma: mi risposero che sapevano benissimo di essere ai margini della legalità (diciamo pure fuori), ma che volendo far funzionare le cose questo è l’unico sistema. E gli do ragione.
Insomma, se ci sono voluti tanti anni per far cambiare almeno un po’ la testa ai maschi, ce ne vorranno forse altrettanti per far digerire al gentil sesso che la parità deve essere reciproca. A meno che in un gesto di grande romanticismo la corte europea non sancisca che i rapporti uomo/donna (e i servizi commerciali ad essi dedicati, fatturati compresi) non fanno parte del “dare a Cesare quel che è di Cesare”, ma di un nuovo principio che potremmo definire “A Venere quel che è di Venere, ma a Marte senza sconto”.
(Stefano De Pietro)