Università – Il pane per la ricerca
Estratto da Guido Barbujani (Domenica del Sole 24 Ore, 28 settembre 2008)(*)
Da qui al 2012 il taglio delle risorse scoraggerà gli studiosi più meritevoli e accelererà il declino del nostro Paese
È frustrante parlare dello stato di abbandono in cui versano Università e ricerca nel nostro Paese. Le cifre sono grottesche, nessuno ci fa più caso. Tanto per dirne una: per i diritti degli highlights della serie A, la Rai ha speso più di quanto nel 2008 l’Italia ha investito nella ricerca di base, i cosiddetti progetti Prin.
Lo conferma il rapporto 2008 dell’Ocse, Education at a glance. In media, nei Paesi dell’Ocse si spende per l’Università l’1,5% del prodotto interno lordo; in Italia, lo 0,9 per cento. Dietro di noi c’è solo la Slovacchia, per un pelo. Gli Stati Uniti investono nelle istituzioni universitarie il 2,9% del loro prodotto lordo, il Canada il 2,6 per cento. Grecia, Messico, Polonia, Israele, Portogallo, Turchia, Estonia, Cile: sono tutti davanti a noi, alcuni di un bel po’. Va bene, dirà qualcuno, ma negli Usa i privati sono molto più generosi. Vero, i privati americani lo sono sei volte più dei nostri (l’1,9% contro lo 0,3%). Ma negli Stati Uniti di George W. Bush i finanziamenti pubblici dell’Università sono il doppio che in Italia.
Presto rimpiangeremo i tempi in cui potevamo giocarci con la Slovacchia il penultimo posto. A giugno, infatti, con il decreto legge 112/08, inserito nella manovra finanziaria per il 2009 («Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria») l’Università italiana è stata rivoltata come un calzino. Per cominciare, dovrà dimagrire: sarà assunto un nuovo dipendente solo ogni cinque pensionamenti. Ne deriveranno crescenti economie per il bilancio dello Stato, da 456 milioni di euro nel 2009 fino a 3.188 milioni nel 2012. Sembrerebbe insomma che per garantire lo sviluppo economico e la competitività il nostro Governo abbia scoperto l’uovo di Colombo. Niente nuove risorse, anzi, noi faremo il contrario di quello che fanno gli altri: disinvestire, disinvestire! Barack Obama promette un milione di nuovi insegnanti? Che fesseria: noi, invece, per essere più competitivi, ce ne sbarazzeremo: dalla scuola elementare in su.
A colpi di un’assunzione ogni cinque pensionamenti, c’è poco da fare: presto i docenti non basteranno più. Chiuderanno i corsi di laurea, poi le facoltà, poi interi atenei. Il decreto legge 112/08 offre però una scappatoia. Le università non vogliono chiudere? Si trasformino in fondazioni di diritto privato (…) Quando nel nostro Paese l’università sarà solo privata ci si laureerà a prezzo di mercato.
(…) All’università, si sente dire, non si lavora; i professori non ci sono mai e quando ci sono battono la fiacca (…) Ma qualcosa di vero c’è: non tutte le sedi, non tutti i corsi, sono all’altezza del loro compito. Che fare, allora? Altrove si valuta la produzione scientifica; si premia chi lo merita, si penalizzano gli altri. Da noi, invece, si spara nel mucchio. I professori vogliono soldi? Che se li trovino. E la ricerca di base, l’alta formazione postlaurea? E chi se ne frega. La pensano così in molti: il decreto 112/08 ricalca una proposta di legge presentata nella scorsa legislatura da Nicola Rossi, allora deputato Ds, oggi senatore del Pd. «L’Italia ha bisogno di un soffio di libertà. Libertà di competere, libertà di rischiare, libertà di inventare, libertà di scommettere sul proprio talento» scrive Rossi al proprio sito web. «Non crediamo», continua, «che la giustizia sociale si misuri in quantità di spesa pubblica». Giusto. Resta da capire come potranno scommettere sul proprio talento i nostri migliori laureati, senza investimenti nella ricerca, senza borse di studio, senza futuro nel sistema accademico. E soprattutto come potrà il Paese, liquidate università e ricerca pubbliche, restare a galla in una competizione internazionale che si gioca sempre più sulle conoscenze e sull’innovazione.
(Guido Barbujani)
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Guido Barbujani ha lavorato alla State University of New York a Stony Brook (New York), alle Università di Padova e Bologna, e dal 1996 è professore di genetica all’Università di Ferrara. Autore di romanzi (“Dilettanti. Quattro viaggi nei dintorni di Charles Darwin”, Sironi, 2004; “Dopoguerra”, Sironi, 2002; “Questione di razza”, Mondadori, 2003) e di saggi (“L’invenzione delle razze”, Bompiani, 2006 e, in collaborazione con Pietro Cheli, “Sono razzista, ma sto cercando di smettere”, Laterza, 2008)