Questione di lusso

Lunedì 29 settembre ho letto sul Secolo XIX un articolo-lettera di Giuseppe Lo Nostro, docente di Qualità nei sistemi industriali alla Facoltà d’Ingegneria che diceva, in soldoni, che quest’anno sono scese le iscrizioni a lettere e altre facoltà e che -insomma- in questo periodo difficile e duro ci vuole una scuola del saper-fare opposta a una scuola del sapere-e-basta perché quest’ultima sforna alla fine dei disoccupati e come esempio diceva è assurdo che un liceo scientifico abbia più ore di italiano e latino che matematica e fisica, e diceva anche che in questi tempi la filosofia, la letteratura, il diritto, la storia, sono un lusso che non ci si può permettere, che le richieste del mercato sono di altro tipo. Alla fine citava Dante.


La cosa che mi ha innervosito è la questione del lusso: conoscere la storia e la letteratura è un lusso che oggi pochi si possono permettere e infatti quei pochi fanno la fame. Quello che invece chiede il mercato è avere persone che sanno fare. Ma queste persone che sanno fare rischiano di non saper vedere quello che fanno. Perché saper vedere quello che fai diventa un lusso che la tua scuola non-di-lusso non ti ha dato e che non puoi toglierti nei ritagli di tempo. Nel ritagli di tempo cosa fai? Nei ritagli di tempo vai al Cineplex a vedere l’ultimo blockbuster, nei ritagli di tempo ti scarichi i giochi per la play, porti i tuoi figli alla Fiumara, perché questi sono i lussi di chi non può permettersi il lusso della storia, del diritto e della letteratura. Se hai fatto la scuola del saper-fare non puoi citare Dante alla fine del tuo articolo sul Secolo XIX, perché Dante non sai cosa sia.
Se questo è quello che chiede il mercato, è un mercato povero e per poveri. Il prezzo da pagare per rinunciare al lusso della storia e della letteratura è pesante: significa pensare alla sera per serial e per stagioni televisive, significa pensare che questo è quello che c’è, e quello che non c’è è scaricabile. Significa che stare bene è un prodotto, che essere felici è un prodotto e il prodotto è legato al tuo saper fare, al tuo saper produrre prodotti. Ad accettare uno stop and go come si accetta un c.s.i. Miami.
Se questo è il mercato anche la lettera-articolo pubblicata sul Secolo XIX è un prodotto, ed è un prodotto consonante e governativo. La scuola del saper fare, va bene, ma saper fare cosa, e per chi? A favore di chi? Se il latino, la letteratura, il diritto, l’arte e la storia sono un lusso, in questi tempi di crisi, è una crisi di valore non economica. La scuola di lusso è la scuola di chi non saprà fare prodotti per questo mercato che vuole beni di lusso destinati ai poveri. L’iphone per i poveri, la tv via cavo per i poveri, lo schermo piatto 16:9 per i poveri.
Allora forse è meglio questa fame di lusso, questo Seneca da affamati.
(Fabrizio Venerandi)