Web 2.0 – Dove Youtube apre altri chiudono
E’ di qualche mese la notizia che youtube italia aprirà una sezione dedicata al citizen journalism, (giornalismo collaborativo, qui potete vedere la versione inglese: http://it.youtube.com/citizennews) dove si potranno vedere video giornalistici girati da persone che giornalisti non sono, ma che sentono il desiderio di condividere notizie e informazioni ponendosi loro stessi come produttori di ‘media’, e non solo come consumatori passivi. Il concetto è sempre lo stesso tanto caro al nuovo web 2.0: chi produce e chi consuma sono sempre le stesse persone, in un meccanismo divoratore e generatore nello stesso tempo.
Condividi i tuoi video su youtube e intanto guarda quelli degli altri, condividi le tue foto su flikr, e commenta i lavori altrui, scrivi i tuoi blog-pensieri e intanto leggi e commenta quelli degli altri. Tu non sei solo perché compri, ma perché produci, e la tua produzione dà vita a collegamen ti, a feedback, a incontri. Tutto bello? Mica tanto. Dove youtube apre, altri siti di citizen journalism dedicati alla contro-informazione hanno già cominciato a chiudere. Bayosphere che tra i primi si era lanciato nell’iniziativa, nel 2006 ha gettato la spugna ammettendo che gli investimenti che si aspettava non si sono visti e che il giornalismo fatto dai dilettanti, beh qualche problema di continuità e di qualità ce l’ha. Ma il vero problema di questo web 2.0 è in fondo strutturale: in questa grande condivisione amichevole, in questo mutuo sfruttamento di risorse intellettuali, chi sono quelli che ci guadagnano? Non c’è il rischio che questi produttori di informazioni, di foto, di video, di parole, altro non siano che “servi” di grandi gruppi media-editoriali che li utilizzano per creare -a costo zero- traffico sulla propria rete? Il web 2.0 sta creando un nuovo tipo di consumatore, che non solo consuma prodotti che gli vengono offerti con più furbizia del passato, ma lavora anche a gratis per chi questi prodotti li vende. E si sente appagato. I risultati di questo “andazzo” sembrano coinvolgere, di rimbalzo, anche i professionisti che si adeguano ad un media che deve offrire notizie sempre più superficiali e brevi, e sempre meno controllate. Le grandi firme del giornalismo lasciano spazio alla “nessuna-firma” redazionale, innocua e generica, scritta da gente che una “grande firma” vorrebbe anche diventarla, ma forse in un altro modo. In maniera meno collaborativa e più retribuita. Magari in maniera più professionale. Ma fare cultura e informazione, è ancora una professione?
(M. Cecilia Averame e Fabrizio Venerandi)