Lavoro/1 – Tra pubblico e privato
Il mito del lavoro nell’ente pubblico è diventato realtà nel 2005 per molti dipendenti delle Acciaierie di Cornigliano. Ceduti per tre anni a comune e provincia, 650 lavoratori dell’Ilva hanno affiancato dipendenti pubblici, di settori differenti, con risultati, a detta dei più, discordanti. “Sta al singolo”, hanno commentato alcuni, riferendosi all’alta o scarsa produttività dei lavoratori Ilva. “Di qua ne sono passati tre: uno è rientrato in stabilimento, due di loro davvero in gamba…”
Ognuno, a sentire i commenti, ha portato con sé nell’ente pubblico, livore o disponibilità, desiderio di rivalsa o di conoscenza, in sintesi se stesso. Con la dose di “scazzo” legittimata dalla condizione di cassintegrato socialmente utile. Inoltre ognuno ha portato una vastità di sguardo data dall’esperienza di lavoro precedente. Chi dieci, chi venti, chi trenta “anni di marche”, con una propensione all’analisi spiccia e un po’ spietata alla quale va aggiunta una buona dose d’invidia.
Hanno toccato con mano il mito del pubblico impiego e questo li ha marchiati. Perché hanno registrato le differenze tra il prima e il dopo e verificato di persona che in Italia non si lavora tutti con gli stessi parametri.
Non dispongono di un’etichetta per ciò che hanno visto, ma pare si tratti di qualcosa assimilabile alla “qualità della vita”. Inimmaginabile in stabilimento.
I meno indulgenti dichiarano che nell’ente pubblico “non si lavora” o che“se si lavora, si lavora male”, che “manca programmazione”, e che “se ci fosse Riva…”, però ammiccano, facendo intendere che in stabilimento è davvero altra storia. “Provare per credere!” pare dicano ai colleghi del pubblico, “una settimana là dentro ed esci sfatto!”. I commenti reciproci su stipendi, privilegi, produttività dell’una e dell’altra categoria si sprecano.
Ne esce un piccolo quadro di sguardi in cui ognuno filma la categoria opposta e filmando registra il divario tra lavoro pubblico e lavoro privato.
Tanti piccoli cortometraggi dell’Italia che lavora, conservati nella cineteca mentale di ognuno.
Alla sezione corti, va aggiunta, la categoria dei precari d.o.c, quelli senza privilegi sindacali, giovani e meno giovani che attendono da anni l’assunzione a tempo indeterminato che filmano se stessi e gli altri e gli altri ancora.
Pare, che dopo averlo provato, il pubblico impiego, sia osso duro da abbandonare. Pochi, infatti, vogliono mollarlo, cassintegrati inclusi. Perchè anche se “non paga” sotto diversi punti di vista, è obbiettivo finale o soluzione temporanea ai mali estremi di un lavoro privato che umano non è.
L’accordo Acciaierie ha sottovaluto le conseguenze dell’incontro tra due mondi: il difficile adattamento al rientro in fabbrica, l’aver fatto proprio un bisogno di misura tra due mondi estremi e la richiesta forte di un’etica del lavoro alla quale appellarsi finalmente. Tutti e sempre.
(Giulia Parodi)