Privacy & C – Due pesi, due misure
Leggo su Repubblica.it che l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato sul proprio sito i dati relativi alle dichiarazioni fiscali degli italiani per l’anno 2005. Solo per poche ore però, perché il Garante della Privacy ha chiesto all’Agenzia stessa di interrompere il servizio, sono certo con grande soddisfazione degli webmaster che saranno impazziti per l’eccesso di accessi: il che significa naturalmente anche il blocco di altri servizi essenziali di un ministero, ma di questo nessuno ha parlato.
Mezza Italia si indegna che siano pubblicati i redditi dichiarati perché non si vuole far sapere quanto si guadagna. L’altra metà urla alla censura e incalza che i dati sono pubblici e tali devono restare, anche su internet.
La legge impone di pubblicare tali dati in quanto sono appunto “pubblici”, fanno parte delle voci di bilancio (ciclo attivo) dello stato, che siamo noi, quindi è come se fosse la nostra contabilità. Al tempo stesso però ne consente anche un uso indiscriminato e in forma anonima, il che è a mio avviso scorretto. Qualcuno ha parlato di mafia, di rapimenti, aggiungo che quello che mi preoccupa veramente è l’uso commerciale che ne può essere fatto.
Manca in questo sistema il principio di reciprocità: è obbligatorio fornire i dati del proprio reddito per pagare le tasse, è corretto che tali dati siano resi pubblici, sarebbe auspicabile che le persone che consultano tali dati siano identificate e che la lista di chi ha letto la mia dichiarazione mi sia trasmessa con un qualche metodo, almeno saprò chi conosce la mia povertà. Un po’ di cortesia e di correttezza, insomma, invece che tante norme inutili e facilmente aggirabili. I mezzi per essere identificati su internet ci sono, non meno efficienti di quelli classici e prima o poi qualche luminare nei nostri ministeri se ne accorgerà.
Vorrei invece attirare l’attenzione su un problema che reputo ben più grave: vi sembra possibile che io, per farmi cancellare dagli elenchi di una azienda di telemarketing, debba spendere il costo di una raccomandata AR? Vorrei strozzare il legislatore! Quante dovrei mandarne? 100, 1000, 10.000 forse. Certe volte viene il dubbio che le leggi siano fatte per far fatturare le poste, poi si torna sulla terra e ci si ricorda che siamo in Italia, regno della teoria, dell’improvvisazione, della disorganizzazione e delle operazioni di facciata. E degli avvocati che ti fanno moduli con 8 firme per inviare 50 euro con Western Union, una per il contratto, una per le vessatorie, una per la privacy, il tutto per 2 moduli, più la firma doppia per l’importo. L’impiegato mi dice “metta una sola firma grande che prende i tre spazi, così fa prima”: ho messo 8 “X” , provando il piacevole brivido dell’analfabetismo.
(Stefano De Pietro)