Ilva – L’operaio si racconta a mezza voce
A pochi giorni dal 1° maggio Repubblica – Il Lavoro (24 aprile ’08) sulle Acciaierie di Cornigliano: punto di vista dall’interno, testimonianza anonima.
“L’altro giorno alle tre e mezza del mattino un ragazzo stava guardando l’ora sul cellulare, in quel momento è passato Riva e l’operaio si è beccato un rapporto disciplinare. E attenzione che non ti cada l’elmetto antinfortunistico di mano, perché altrimenti sono guai. Ecco questo è il clima che si respira ormai all’Ilva di Cornigliano”. Dopo alcuni mesi di cassa integrazione “siamo rientrati il 20 gennaio e la situazione non è facile, nemmeno dal punto di vista degli impianti, dato che quelli della banda stagnata risalgono agli anni Quaranta, Cinquanta, ma il problema non è nemmeno tanto il lavoro vero e proprio, quello lo conosciamo, il problema è il clima di terrore che si è instaurato”.
“Clima di terrore”: le storie raccontate da chi all’ILVA lavora hanno spesso questa patina pesante, cariche di un’aria densa nella quale sospetto e desiderio di controllo sono alimenti principe. “Ogni giorno regaliamo quasi un’ora al padrone” – aggiunge l’anonimo intervistato da Nadia Campini – “Qui è l’unico stabilimento dove abbiamo la doppia timbratura. All’Ansaldo, come in tutte le fabbriche che si rispettino, conta la timbratura d’entrata”, ai tornelli. A Cornigliano quella in reparto.
Ma cosa fa il dipendente in quel tragitto?
Aspetta l’autobus, va nello spogliatoio per cambiarsi, poi a piedi in reparto – se è vicino – altrimenti aspetta un altro autobus interno. Un tempo – secondo l’azienda – che dipende da lui e pertanto non va retribuito.
Per quale ragione? Per farlo correr? O perché non gli spetta? E poi chi decide se retribuirlo o meno? E perché in altre fabbriche quel tempo viene concesso?
Parlare di timbrature all’ILVA può apparire – oggi – questione di lana caprina. Ma è anche qui che si è generato il “clima di terrore”. Dall’idea che il dipendente – se può – ti frega. E lo fa a priori. Quindi va tenuto sotto.
“Vuoi sapere la verità? La verità è che stanno facendo il possibile per farci andare via tutti. Tirano la corda. E quando non ce la fai più, te ne vai. Anche con meno soldi. Perché non è più vita là dentro”, sussurra un altro anonimo.
Il 23 aprile Repubblica – Il Lavoro indica i numeri dell’esodo dalle Acciaierie di Cornigliano: “Quattordici licenziamenti dall’agosto 2005; 201 dimissioni volontarie, 58 contratti non confermati”.
Burlando quei numeri li ha letti in Regione ad una folta delegazione di cassintergrati e sindacalisti delle Acciaierie. “Quattordici licenziamenti? Cinquantotto contratti non confermati?” hanno ripetuto stupiti i presenti. Il Presidente della Regione ha annuito. Poi dicono che il suo sguardo si sia posato sui rappresentanti sindacali, come volesse chieder ragione di quei numeri passati sotto silenzio dal 2005 ad oggi. Ma è stato solo un istante. Forse non era cosa.
Buon 1° maggio.
(Giulia Parodi)