Call centers – Spettacolo per tutti, informazioni per specialisti

Strano destino quello dei call centers. Presi a simbolo del moderno lavoro precario, destinatari di ripetute citazioni da parte dei politici, ispiratori di ricerche, libri, spettacoli teatrali, film, sono da due anni sulla cresta dell’onda mediatica, ma le recenti novità sugli obblighi di stabilizzazione lavorativa stanno passando nel silenzio: i mezzi di informazione, ad eccezione del Sole 24 Ore, devono aver considerato l’argomento troppo specialistico. Eppure le caratteristiche per essere popolare ce le avrebbe, dato riguarda circa 50 mila lavoratori in Italia, e diverse centinaia nella nostra città.


La novità viene da una recentissima (31 marzo 2008) circolare del Ministero del Lavoro che ammette la necessità di considerare con più rigore l’attività degli operatori outbound (quelli che fanno promozione commerciale) ai fini di una loro stabilizzazione lavorativa, obbligatoria invece solo per gli operatori inbound (quelli che ricevono le telefonate).
L’esperienza ispettiva nell’ambito della attività dei call center, dice la circolare “ha infatti frequentemente evidenziato l’assenza degli elementi che contraddistinguono una prestazione genuinamente autonoma per le attività outbound e ciò induce inevitabilmente ad una più approfondita valutazione in ordine alla possibilità in concreto del citato criterio distintivo”.
Storia lunga questa della regolarizzazione dei lavoratori call center, e controversa. Su quanto fosse discutibile, ed anche dannosa, la distinzione tra inbound ed outbound, ci eravamo già espressi (OLI del 5 marzo 2008 e del 13 giugno 2007).
Domanda: ci voleva tutta questa attività ispettiva per mettere in luce le caratteristiche organizzative di un settore consolidato già da diversi anni, ed oggetto di ricerche?
Girando sui siti si raccoglie la soddisfazione della CGIL e delle grandi imprese che avevano già stabilizzato anche i lavoratori outbound, preoccupate per il “dumping” delle aziende più disinvolte.
Ma c’è anche una cultura sindacale che mette al primo posto il suo “esserci”, a prescindere. In questo caso a darle voce è il segretario generale della Fistel (sindacato Cisl dell’informazione), che all’apprezzamento per la circolare fa seguire una lunga serie di “ma”: “ma non deve assolutamente essere sostitutiva del rapporto contrattuale… ma deve limitarsi ad accompagnare le decisioni delle parti sociali… ma crediamo che siano le parti sociali a dover stabilire tempi e modalità di questa operazione”.
Il piacere di “esserci”, di essere un punto obbligato di passaggio, a prescindere, può produrre però esiti infelici. Lo scorso 24 settembre 2007 il Ministero del Lavoro con una circolare segnalò infatti le “ricorrenti criticità” degli accordi di stabilizzazione sottoscritti tra sindacato ed imprese: regolarizzazioni indeterminate nel tempo o comunque troppo dilazionate, limitate ad una sola parte dei lavoratori, con orari di lavoro eccessivamente ridotti.
Alla fine, comunque, 20 mila operatori prevalentemente inbound sono passati dal contratto a progetto a quello dipendente.
Ora, si spera, tocca agli altri. Il processo non è automatico, ma sarà più difficile per le imprese giustificare l’utilizzo dei contratti a progetto.
(Paola Pierantoni)