Ilva – Se sette apprendisti vi sembran pochi

Lo scontro covava già da tempo; un giorno o l’altro doveva scoppiare. A meno di due anni della sua firma, l’Accordo di programma mostrava già vistose crepe. Avrebbe dovuto porre la parola fine al lungo conflitto tra le acciaierie dell’Ilva e la città, tra bonifica ambientale e difesa dell’occupazione, ma la “crisi della banda stagnata” annunciata nel 2007 da Riva veniva a colpire uno dei settori chiavi del Piano industriale alla base dell’Accordo di programma e, pertanto, Riva chiedeva di mettere in cassa integrazione per alcune settimane altre quattrocento persone (650 erano già in cassa integrazione straordinaria).


L’ottimismo, coltivato in verità da pochi, faceva subito dell’Ilva “un sorvegliato speciale” (Repubblica, 6 luglio 2007). Oltre alla crisi, preoccupava il ritardo sugli investimenti previsti (Repubblica, 14 luglio 2007). Mario Margini dichiarava: “Noi abbiamo dato fiducia ad un piano industriale, ci sono stati impegni nostri e dell’imprenditore, ma se qualcosa cambia è l’accordo ad essere messo in discussione” (Repubblica, 24 luglio 2007).
Dopo pochi mesi, qualcosa infatti cambia, ma in peggio. Un’interrogazione di Marcello Danovaro (consigliere comunale Pd) denuncia che Riva viola l’intesa firmata: gli investimenti effettivamente attuati dall’Ilva sono meno del 20% di quelli stabiliti, mentre a Novi Ligure e a Taranto, l’Ilva ha continuato a potenziare e ad ammodernare gli impianti. Inoltre, la centrale elettrica (definito dallo stesso Riva, un elemento qualificante del Piano industriale) è in alto mare. “E’ evidente – dice Danovaro – che senza le nuove attività industriali, i lavoratori non potranno rientrare in azienda” (Secolo XIX, 21 gennaio 2008).
Si riapre la vertenza. Un nuovo Piano industriale presentato recentemente dall’Ilva prevede “un quarto anno di cassa integrazione straordinaria per circa 500 unità, fino al termine del 2008, con una riduzione a circa 300 per il periodo rimanente [da gennaio ad agosto 2009] […] e un organico-obiettivo, a regime, di circa 2200 addetti”, non 2700 come previsto dall’Accordo di programma. Vuol dire che, a meno di clausole segrete, Riva ha attuato – da solo – il blocco del turnover (circa 500 persone sono già, infatti, andate via per pensionamento o dimissione).
La vertenza diventa conflitto pubblico lunedì 7 aprile 2008. I lavoratori dell’Ilva proclamano uno sciopero: sette giovani assunti con contratto di apprendistato non sono stati confermati. E’ troppo. Manifestazione, corteo, presidio davanti alla Prefettura. In un volantino scrivono che “dopo 3 anni [i giovani] hanno ampiamente dimostrato di essere seri, professionalmente validi e come tali utilizzati sino ad oggi”. Per loro doveva valere quanto sancito dell’Accordo di programma firmato dopo il loro ingresso: per cui “l’Ilva spa si impegna per tutta la durata del proprio piano di ristrutturazione a non attivare alcuna procedura di licenziamento collettivo, né a disporre trasferimenti collettivi, non concordati con le organizzazioni sindacali, per motivi in qualunque modo connessi al detto piano” (articolo 23 dell’Accordo di programma, 8 ottobre 2005).
“Che errore radicalizzare lo scontro” (Corriere mercantile, 10 aprile 2008) è la reazione imbarazzate delle istituzioni che avevano firmato nel 2005 “il miglior degli accordi possibili”. Nessun imbarazzo invece da parte di Riva: “E’ vergognoso fare queste cose per sette lavoratori”. Cosa sarà farle per duemilasettecento?
(Oscar Itzcovich)