Islam – Conta la cultura più che il velo
“La festa della donna con il velo islamico” è il titolo con il quale il Secolo XIX, del 10 marzo, riferisce della giornata celebrata al Porto Antico dalle donne arabe che fanno riferimento all’associazione La Palma. La cronaca riferisce di una bella festa, con dolci e musica, della partecipazione attiva delle donne genovesi che sono compagne di lavoro, mamme di compagni di scuola e vicine di casa, e delle parole delle donne arabe di Genova che sottolineano l’importanza del velo: ” Il velo nel giorno della festa della donna? Cosa c’è di strano? E’ una cultura nostra, è una nostra identità, è una raccomandazione di Dio”, ” non tolgo il velo perché se lo facessi sarebbe togliermi la fede”.
Fattima Mernissi, marocchina, professoressa all’Università di Rabat, nel suo libro “Le donne del profeta”, edito dalla casa editrice genovese Ecig, sostiene invece che non esiste l’obbligo del velo né nel Corano né negli Hadith (le parole) del profeta Mohammad; che il vero guaio è che, in alcuni paesi arabi e musulmani, l’analfabetismo arriva a percentuali spaventose come il 70% della popolazione. Che la popolazione accetta passivamente l’interpretazione dei maschi, spesso misogini, del Corano e del Hadith; che non si tratta di questione religiosa, ma dell’uso che fanno i maschi (di tutte le religioni e di tutte le civiltà) della religione per controllare le donne, sottometterle, ed escluderle, mentre ogni donna deve essere libera di scegliere come vestirsi e cosa mettere sulla propria testa.
Intervenuta alla presentazione della tredicesima edizione degli incontri culturali “Le grandi parole dell’umanità”, al teatro della Corte di Genova, la giornalista algerina Nacéra Benali, ha detto che il velo è un falso problema: l’importante è che le donne accedano allo studio, che vadano a scuola ed all’università e non importa se ci vanno velate o non (Il Secolo XIX del 6 febbraio). Per Nacera Benali, “il nodo della questione femminile nell’Islam non si scioglierà finché gli uomini avranno il monopolio dell’interpretazione del Corano. E finché tutti non potranno riferirsi a un codice civile laico”.
Mohammad Arkun, algerino, professore emerito alla Sorbona, sostiene che nel mondo arabo ed islamico, le università sono poche, che nelle molte facoltà religiose si insegnano i testi sacri con metodi antichi, che ci sono le facoltà di medicina e di ingegneria ma sono poche quelle umanistiche, in particolare quelle che diffondono le scienze riguardanti “la lingua”, che insegnano a storicizzare, contestualizzare, decostruire e ricostruire un testo per arrivare ad una nuova e corretta lettura (interpretazione) dei testi antichi ed in particolare dei testi “sacri”. Perciò egli invita ad insegnare queste scienze nelle università “occidentali” ai giovani arabi e musulmani, istituendo apposite borse di studio ed invita a collaborare con quei paesi per introdurre le facoltà che insegnano queste scienze nel loro sistema universitario.
(Saleh Zaghloul)