“Diario di scuola” – Pennac, l’ex somaro fattosi scrittore
“Nessun avvenire. Bambini che non diventeranno. Bambini che fanno cadere le braccia. Alle elementari, alle medie, poi al liceo, ci credevo anch’io, vero come l’oro, a questa esistenza senza avvenire”. Ecco un breve capoverso dell’ultimo libro di Daniel Pennac “Diario di scuola” (ed. Feltrinelli euro 16). Lenimento per maestri, pedagoghi, genitori affranti e studenti.
Qui il creatore del “capro espiatorio” Benjamin Malussène parla della sua infanzia di “somaro” e della sua professione di insegnante. La metamorfosi è narrata attraverso le tappe dell’adolescenza nelle quali l’aver incontrato tre o quattro insegnanti speciali gli ha cambiato letteralmente – è il caso di dirlo?- il futuro.
Si scopre così che è scrittore perché il suo “primo salvatore, un professore di francese in prima superiore, colpito dalla sua propensione ad affinare scuse”, decise di commissionargli un romanzo, in “ragione di un capitolo la settimana”. Siamo all’inizio della risalita nella quale Pennac comprende che non è solo una “nullità”.
Nello scambio dei ruoli, ecco la scuola vissuta da professore, in un rapporto con ragazzi che sanno quello che comprano, ma non sanno quello che sono. Bambini clienti, che indossano marche – “N è la marca e la marca non è l’oggetto!” spiega il professore ad un’allieva e aggiunge: “L’oggetto serve a camminare, la marca a cosa serve?”, “A tirarsela, Prof!”.
Sono ragazzi dai quali pretenderà un testo a memoria alla settimana “nell’epoca in cui la memoria si misura in giga!” per “gettarli nel grande fiume della lingua” e con i quali si può studiare grammatica partendo dalle loro incertezze: “Non ci arriverò mai, gliel’ho detto. La scuola non è fatta per me!” e ancora, davanti alla lavagna:”Non me ne frega niente”, “Va bene, e questo ‘ne’, per l’appunto, che cos’è questo ‘ne’?”
Nel libro ci sono le sconfitte, il riconoscimento che esiste una gioventù rabbiosa e spietata ma che non va eletta a simbolo della categoria di giovani che abitano la banlieu. E c’è il sistema scolastico francese con modelli in crisi, politica distante, incapacità di trovare soluzioni, “per il quale è sconveniente parlare d’amore nell’ambito dell’insegnamento”.
Pennac mette ordine in un’idea di scuola che oggi ci arriva stanca, esasperata, lontana dai ragazzi che la frequentano. Nella lettura di “Diario di scuola” la materializzazione di un sogno, che non riguarda gli studenti migliori ma quelli ai margini di cui troppi insegnanti oggi non sanno che fare.
Finito il libro sorge un dubbio: e se fosse solo un romanzo?
(Giulia Parodi)