Laicità – La rivoluzione biomedica e i passetti della politica
“Libertà e giustizia” ha organizzato a Genova il 30 gennaio un incontro su “Bioetica e convivenza civile”. Il dibattito fa parte di una serie che avrà come tema la laicità.
Si tratta di una scelta coraggiosa in questi tempi in cui la laicità viene accompagnata da aggettivi quali radicale, estrema, cieca, con l’obbiettivo di spogliarla della sua stessa natura, relegandola in un ambito dove non può far danno. Se fosse il personaggio di una favola farebbe la fine della strega cattiva e la storia ci ha insegnato che fine – nella realtà – facevano le streghe.
La sala è abbastanza piena. Il pubblico, decisamente over quaranta, conosce Libertà e Giustizia, ne ha condiviso le battaglie, prima fra tutte quella in difesa della costituzione italiana.
All’incontro Maurizio Mori dell’università di Torino, Franco Henriquet dell’Associazione Gigi Ghiotti e la giornalista Silvia Neonato.
Per due ore si parla di vita e di morte con estrema schiettezza. La vita è nella potenza della ricerca nella quale “le novità si susseguono con una rapidità tale che è folle seguirle”. E’ qui, sulle cellule staminali, sulla rivoluzione biomedica – la più grande rivoluzione dopo quella industriale – che la politica rimane indietro. E’ necessario, spiega Mori un “cambiamento radicale nel modo di atteggiarsi alla vita, quindi le vecchie istituzioni vanno aggiornate”. Mori ricorda la “libertà di riprodursi, di morire, di cambiare sesso”, e la laicità come “elemento fondamentale di convivenza civile”. Si parla di “un’aspettativa di vita di 350 – 400 anni” e per comprendere i passi che fa la scienza è sufficiente pensare dove fosse la ricerca sulla riproduzione nel 1930. L’incapacità di accettare l’evoluzione nel campo della bioetica ha a che fare con l’incapacità di cambiare gli assetti istituzionali. Siamo alla 194, ad un fronte laico inesistente, all’invasione di messaggi religiosi. Siamo alla morte che, secondo Henriquet, è stata troppo “medicalizzata” con una negazione della possibilità di scegliere. Il medico evoca i luoghi dove bisognerebbe aver il diritto di morire e il fatto che quando si entra “nell’automatismo dell’ospedale” queste scelte vengono negate. No, Henriquet non riconosce all’eutanasia il ruolo che ha in altri paesi. Nei fatti “la richiesta è davvero minimale perché nella generalità dei casi non c’è la consapevolezza di voler morire – la speranza c’è sempre e la maggioranza delle persone chiede che vengano fatte delle cose per essere curate”. L’eutanasia si chiede per “la perdita di indipendenza, di controllo, per un senso di inutilità”. Il dolore – spiega Henriquet – si può sempre controllare “con la permanenza dello stato di coscienza o con la sedazione”, altra cosa è somministrare un farmaco che interrompe la vita.
“Orgoglio laico”, aborto che più “che diritto è tragedia”, mancanza di interlocutori nella classe medica, “parti cesarei e industrializzazione delle nascite” sono i temi che emergono da una platea consapevole e informata. Alla fine il più giovane – forse il solo giovane – chiede la parola. Fa parte di una comunità che aiuta le ragazze madri ad avere i bambini: accenna al tema delle scelte: “Non si può scegliere! I ragazzi della mia età non hanno gli strumenti!”, “Che si informino!” esclama una donna in platea; “Quello che vi chiedo” precisa il ragazzo “aiutateci a capire per scegliere!” Ma la distanza tra lui e gli altri è così grande. Chissà se qualcuno ha compreso quello che ha detto.
(Giulia Parodi)