Iplom Busalla – Convivere con il rischio o il lavoro se ne va

Il 1° settembre 2005, un guasto all’impianto di desolforazione della raffineria Iplom di Busalla provocò un violento incendio. Nel paese si sfiorò una tragedia immane. “È innegabile che, nonostante gli ingenti investimenti dell’azienda per ridurre l’impatto ambientale, il tipo di produzione sia poco compatibile con quell’area compresa tra autostrada, fiume Scrivia e centro abitato” – dichiarava all’indomani l’assessore regionale all’ambiente Franco Zunino. E ancora: “C’é l’obiettivo del 2013 [data in cui termina la concessione ministeriale all’azienda, nda], bisogna cercare di lavorare per accorciare questa scadenza”.


Delocalizzazione, trasferire altrove gli impianti, diventa parola di ordine, ma non per l’Iplom che, nel 2007, presenta un progetto che prevede la costruzione di una centrale elettrica alimentata ad olio di colza. Il progetto è respinto perché presenta “insormontabili criticità in relazione ai vincoli paesaggistici e ambientali” e “sottostima gli aspetti relativi alla sicurezza” (giunta comunale di Busalla, 6 giugno). Il sindaco di Busalla Marco Valerio Pastorino osserva che “un intervento del genere va evidentemente contro eventuali ipotesi di delocalizzazione della raffineria” (Secolo XIX, 13 luglio 2007).
Secolo XIX, 16 gennaio 2008. Dopo nemmeno sei mesi, l’Iplom insiste con una nuova proposta: il raddoppio dell’impianto per la produzione di idrogeno. E’ la stessa struttura che aveva provocato l’incendio del settembre 2005 e la fuga in massa della popolazione dalle case di Busalla. Un potenziamento, ma anche un miglioramento – dice l’Iplom – delle “perfomance ambientali e di sicurezza” che significa “stabilità per Iplom e futuro certo per tutti i lavoratori”. Un chiaro messaggio, l’Iplom vuole restare dov’è. Ma è anche un avvertimento.
Il comitato tecnico regionale dei vigili del fuoco concede il nulla osta, ma la consulta comunale ambiente di Busalla respinge il progetto: “un fatto grave, perché questo impianto è altamente pericoloso”, “l’ampliamento appare in contrasto con le normative urbanistiche vigenti e ricade in area esondabile”. I sindacati invece sono favorevoli “perché è volto a garantire i livelli occupazionali. Naturalmente – aggiungono – desideriamo che venga realizzato in condizioni tali da offrire garanzie sul piano ambientale e della sicurezza”.
L’assessore Franco Zunino appare più prudente che nel 2005: “Ai primi di febbraio faremo un incontro del tavolo istituzionale. C’era l’ipotesi della delocalizzazione della raffineria e qui evidentemente si tratta di un consolidamento, mi sembrano due cose diverse”.
E si va avanti così, a esaminare progetti, tra comitati tecnici, consulte, tavoli istituzionali e quant’altro, facendo finta di ignorare che per l’azienda e per i lavoratori la scadenza del 2013 è già arrivata.
“Rimbalza in primo piano il problema che costella da lunghi anni la vita della raffineria in relazione alla sua stretta aderenza all’abitato. All’indomani degli incidenti più rilevanti, si è sempre registrato un infittirsi di proclami sulla sicurezza e ipotesi di delocalizzazione, intrecciati a un sostanziale laissez-faire“, così conclude Lodovico Prati il suo articolo sul Secolo XIX.
(Oscar Itzcovich)