Visibilità – I metalmeccanici di ieri e di oggi

Su Repubblica del 19 gennaio l’articolo dedicato alle manifestazioni dei metalmeccanici che avevano bloccato strade e ferrovie compariva sotto il titolo: “Sì, ritorna lo sciopero a gatto selvaggio, così gli operai non sono più invisibili”. L’espresione “a gatto selvaggio” indica in realtà tutt’altro, e cioè “lo sciopero in cui in una catena di montaggio le varie sezioni scioperano in tempi diversi, in modo da arrestare la produzione per il massimo tempo possibile” (Wikipedia). Una forma di lotta, quindi, innanzitutto interna alla fabbrica, finalizzata non alla visibilità pubblica ma ad incidere sulla produzione, praticabile solo se la sua organizzazione è capillare, posto di lavoro per posto di lavoro, operaio per operaio. Tutto molto, molto lontano, praticamente agli antipodi, dalle manifestazioni dei metalmeccanici nei giorni precedenti alla stipula del contratto: poche persone in strada che si sono affidate al blocco del traffico per conquis tare visibilità pubblica e titoli sui giornali.


Fin qui la svista forse è solo di chi ha dato il titolo all’articolo.
Ma poi l’articolista pone al segretario della Camera del Lavoro una buona domanda: “Lei che guidava proprio i metalmeccanici (negli anni ’80 e ’90 ndr) trova delle differenze tra la protesta di oggi e quelle di ieri?”. La risposta del segretario lascia interdetti: “Allora chi faceva le lotte era una classe operaia più anziana… oggi quelli che scendono in strada e protestano sono giovani, e le condizioni economiche sono peggiorate”.
E’ davvero questa l’unica differenza? E’ la differenza principale?
A riguardare le fotografie non dico degli anni ’70, e nemmeno degli ’80, ma quelle del difficile e controverso contratto del 1990 non si direbbe: le immagini rimandano foltissimi cortei (non solo di vecchi operai), bande musicali, una gran produzione di cartelli, bandiere, striscioni, donne ancora in gruppo a rivendicare diritti. Una partecipazione ancora corale, una speranza condivisa, un rapporto con la città non basato sul procurarle – in pochi – uno stato di disagio, ma sul fatto che si puntava ad obiettivi più vasti della essenziale questione salariale.
Le ragioni di questa differenza sono moltissime, riguardano l’interno e l’esterno del sindacato, quello che avviene in Italia e quello che è avvenuto in tutto il mondo.
Ma negarla, ridurne la portata, passare oltre, non è un buon servizio né per la informazione, né per la politica.
(Paola Pierantoni)