Oltre il G8 – Rischio di ritorno al codice Rocco

Teatro della Gioventù, Sala Barabino, “Genova G8, democrazia alla prova”, sabato 24 novembre 2007. Organizza l’incontro il “Comitato Verità e Giustizia per Genova“. Il giornalista di Diario Mario Portanova intervista in pubblico Livio Pepino, magistrato presso la Corte di Cassazione, membro del Consiglio superiore della magistratura e direttore della rivista Questione giustizia. A Pepino si deve la prima e più significativa riflessione sui fatti del G8 – “Genova e il G8: i fatti, le istituzioni, la giustizia” – pubblicato da Questione giustizia sin dal 2001.


La piazza, quella del corteo di due settimane prima è lontana e il momento adatto alla riflessione. Ma pochi l’hanno colta: i presenti non sono più di una ventina. La giornata è fredda, è un sabato e i quotidiani locali non hanno fatto grancassa. Forse non è un caso se nessun politico di rilievo è presente in sala. Forse è per la loro assenza che le pagine locali dei quotidiani di domenica hanno ignorato l’avvenimento. Solo Repubblica-Il Lavoro ha dedicato una ventina di righe peraltro sotto un titolo di fantasia “Vigilare sul caso G8”.

Peccato perché Pepino, pur non entrando nel merito delle vicende processuali, non si è sottratto al “dovere civico” di riflettervi su “almeno in termini generali, astratti”. Ricercare esclusivamente la verità giudiziaria, ha osservato Pepino, può forse servire all’accertamento delle responsabilità individuali ma solleva lo stato dall’indagare sui propri apparati e riflettere sulla costituzionalità delle proprie norme.
Il modo con cui una società punisce i reati riflette la sua gerarchia di valori. Il sistema processuale e penale italiano è strutturato secondo una gerarchia di valori in contrasto con la Costituzione. Permane infatti la gerarchia sancita in età fascista dal codice Rocco (salvo pochi aggiustamenti in relazione soprattutto alla tossicodipendenza e all’immigrazione). Una gerarchia che, grazie al vuoto lasciato dalla politica, non a caso riemerge nei momenti di acuta tensione sociale.
Nella storia repubblicana il reato di devastazione e saccheggio è stato contestato raramente, sempre in presenza di danni ingenti e di problemi di ordine pubblico. Si tratta d’un reato che, così come è tuttora definito dal codice penale, prevede pene molto severe (da 8 a 15 anni) e non ha un sistema di ragionevole bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.
L’applicazione di questa figura di reato, ha osservato Pepino, non riguarda solo i fatti avvenuti a Genova durante il G8. C’è il concreto rischio di una sua applicazione generalizzata. Che sempre di più i conflitti sociali tendano a configurarsi come problemi di ordine pubblico. La conclusione sarebbe una deriva sempre più forte verso la costruzione di un sistema processuale e penale incentrato sulla figura del nemico.
Argomenti pesanti caduti in una sala semivuota.
(Oscar Itzcovich)