Edili clandestini/1 – Manovali in cantiere e anche nella mala?

Su “Alias” (supplemento settimanale del Il manifesto) del 10 novembre un articolo di Emilio Quadrelli intitolato “Allarme sicurezza” riporta una lunga intervista ad un cittadino ecuadoriano che vive, da clandestino, a Genova. Lo scopo è raccogliere, dall’interno, un punto di vista sulla eventuale prossimità degli immigrati clandestini ad attività illegali. Il quadro che ne esce è che la grandissima maggioranza, anche degli irregolari, lavora. Ma a volte è proprio la condizione lavorativa degli immigrati clandestini a spingerli verso azioni illegali: lavori saltuari svolti in condizioni “che un altro difficilmente accetterebbe”, sempre sottopagati, e frequentemente non pagati affatto, mettono a volte gli immigrati in situazioni economicamente insostenibili, ed allora si finisce a fare “cose non troppo grosse ma che consentono di tirare avanti”, o a farsi dare il dovuto andando per le spicce.


Segue, a spiegazione, il dettagliato (ed auto-compiaciuto) racconto di uno di questi episodi di “recupero crediti” con tanto di irruzione notturna nella abitazione del datore di lavoro, condotta con una professionalità criminale di non poco momento.
L’articolo su Alias apre una finestra su alcuni aspetti della nostra realtà cittadina, ed offre spunti di riflessione, ma prevale in me un senso di disagio. Mi pare infatti che il quadro formato da questa testimonianza e dalle osservazioni che la accompagnano (Quadrelli, uno studioso noto per questo genere di inchieste, si riferisce agli episodi narrati come a “piccoli ed abituali paragrafi del romanzo di formazione degli abitanti della Strada”) finisca – rischiosamente – per attribuire ad una singola vicenda molto particolare un improprio valore paradigmatico.
(Paola Pierantoni)