Edili clandestini/2 – Ci sono più imprese che dipendenti

Parlo con Venanzio Maurici, segretario della Fillea (il sindacato degli edili della Cgil) della zona d’ombra che circonda alcuni settori del nostro mercato del lavoro genovese. In questo caso, quello edile.
L’immagine è allarmante: ormai, dice il sindacalista, nella edilizia a Genova il lavoro irregolare ha superato quello regolare, che comunque presenta una incredibile anomalia: il numero delle imprese (circa 9600 aziende individuali, e 2200 più strutturate) supera il numero dei lavoratori dipendenti in regola. I datori di lavoro inducono i dipendenti a costituirsi in impresa autonoma per evadere gli obblighi contributivi, e i lavoratori, soprattutto gli immigrati, ci stanno perché ricattati, o illusi di spuntare un guadagno maggiore, o di ottenere più facilmente il permesso di soggiorno. Il prezzo è alto: una estrema frammentazione del lavoro, l’azzeramento delle condizioni di sicurezza, le amare sorprese quando arrivano le scadenze fiscali.


Gli immigrati sono il 40% dei 9400 lavoratori regolarmente iscritti alla cassa edile, e quasi la totalità degli almeno altrettanti irregolari, costantemente depredati dei diritti e della dignità. Pagati cifre irrisorie, o non pagati affatto, quando vanno all’ospedale per qualche infortunio denunciano incidenti di qualsiasi tipo, ma mai e poi mai di essersi fatti male sul lavoro. Molti all’ospedale nemmeno ci vanno, si curano alla meglio a casa loro. Viene fuori l’episodio di un lavoratore cingalese che non sapeva una parola d’italiano, del tutto ignaro delle misure di sicurezza, caduto da sei metri di altezza, gamba rotta, preso dal datore di lavoro e lasciato per strada ben lontano dal cantiere, finalmente soccorso da un connazionale, portato a casa e lì “curato” alla meglio. Ma per un caso che viene alla luce un numero indefinito resta all’ombra della paura e della omertà.
Tra i clandestini solo qualche lavoratore particolarmente informato ed audace trova la strada del sindacato. La grandissima maggioranza nulla ne sa o ha paura. Chi ci arriva a volte riesce a recuperare qualcosa con una mediazione informale.
In qualche caso si riesce perfino a ristabilire pienamente una condizione di diritto, come alla Gialex azienda (ora fallita) in subappalto da Società Autostrade dove circa 50 immigrati non solo lavoravano in condizioni terribili ma erano stati ingannati dal datore di lavoro che aveva “fatto finta” di regolarizzarli, falsificando la ricevuta delle poste. O come in un cantiere edile di Cogoleto dove sei rumeni, alloggiati in una casa diroccata, venivano pagati 50, 100 euro al mese (al mese!), ricevendo per nutrirsi delle scatolette di tonno e fagioli.
A contrastare questa spirale di illegalità generatrice di illegalità c’è però un esercito troppo debole: il numero di ispettori del lavoro è talmente esiguo, dice Maurici, che ogni impresa può ragionevolmente contare di non essere sottoposta a controlli più frequentemente di una volta ogni otto anni.
(Paola Pierantoni)