G8 – A chi fa male la verità

I 50 mila in corteo del 17 novembre sono serviti prima di tutto a riaffermare di fronte a tutta l’Italia che la questione del G8 2001 non è roba che si potrà confinare nella cronaca cittadina.
In causa c’è la verità su quello che avvenne a Genova tra il 19 e il 22 luglio 2001: la verità storica di cui la verità giudiziaria è solo un aspetto sia pure significativo. In causa c’è anche il buon senso. Il buon senso è quello che aveva spinto a leggere quei fatti non solo come manifestazione di una repressione cieca e bestiale ma come un progetto provocatorio finalizzato a qualcosa che forse non si era realizzato. Da allora, dall’estate 2001, la ricerca della verità è rimasta nelle mani di pochi giornalisti, dei magistrati, di alcune associazioni (ad esempio “verità e giustizia”), di gruppi di legali e di alcuni singoli non disposti a lasciarsi massacrare in nome della democrazia. Assenti di riguardo il parlamento e i partiti.


Oggi, alla fine del 2007, sta avviandosi a conclusione il primo dei tre “grandi processi” relativi ai fatti: quello contro i 25 imputati di devastazione e per cui sono stati chiesti 225 anni di galera. Gli altri due sono quello contro le “forze dell’ordine” responsabili della “mattanza” della Diaz e delle oscenità alla caserma di Bolzaneto.
L’accusa di devastazione e la conseguente pesantezza delle richieste ha fatto scandalo. La fama dei PM, noti per essere magistrati integri e “democratici”, non ha reso le critiche più leggere, anzi. Neppure è servita la minuziosità dell’inchiesta, e la massa delle prove – quasi ridondante – a rendere convincente un’indagine portata a termine malgrado gli “ostacoli frapposti dal coinvolgimento di appartenenti alle forze dell’ordine”.
Siamo consapevoli, hanno dichiarato i PM nella loro arringa, che il procedimento per i fatti di devastazione e saccheggio è il primo processo che giunge a sentenza, e “auspichiamo che anche gli altri a breve possano arrivare almeno alla verità giudiziaria; verità giudiziaria che sicuramente non soddisferà le troppe aspettative di Verità, maiuscola, verità che forse avrebbe dovuto venire da chi ha avuto la responsabilità di quei giorni, in primo luogo l’autorità di governo, ma anche da parte dei responsabili del movimento, o meglio dai responsabili nel movimento, di quelle frange più violente ed ambigue presenti in quei giorni a Genova.” (PM Canepa, udienza 2 ottobre 2007)
Nobile auspicio; da dove allora lo scandalo che ha accolto le richieste dei PM? Forse proprio dal buon senso. Che si chiede se sia opportuno aver sbriciolato l’attività istruttoria della procura in diversi spezzoni isolati. Se sia ragionevole processare 25 persone riconoscendo essere gli stessi solo una frazione infinitesima di quanti negli stessi giorni operarono in modo analogo. Se sia possibile farlo senza un’indagine sulle forze preposte al controllo (mancato) e alla repressione (mancata) degli stessi, e sulle collusioni (documentate) tra devastatori e forze dell’ordine. Il buon senso vorrebbe che si chiarisse preliminarmente quale è stato il grado di collaborazione tra magistrati e forze dell’ordine, quali le domande dei primi e le risposte inevase dei secondi. Il buon senso non disconosce l’importanza della verità giudiziaria, ritiene giusto che si processi chi ha messo a fuoco e apprezza il magistrato che sa distinguere tra azioni volutamente devastatorie e quelle di contrasto o frutto del clima dello scontro. Il buon senso considera i devastatori dei provocatori e quando ci riesce o li riconosce li espelle dai suoi cortei. Ma si chiede se sia solo per caso che a 6 anni dai fatti il primo atto di giustizia sia quello di processare 25 vandali (presunti).
(Manlio Calegari)